Perugino: biography
Pietro di Cristoforo Vannucci, detto “il Perugino”, figlio di Cristoforo di Pietro Vannucci e Lucia di Jacopo Nunzio, apparteneva, contrariamente a quanto affermò il Vasari, a una delle famiglie più importanti e ricche di Città della Pieve, cittadina situata al confine tra Perugia e Siena. Il biografo aretino, invece, scrisse il vero quando attribuì alla figura di Perugino l’invenzione di quella maniera pittorica, poi definita classicismo “ante litteram”, caratterizzata da "una dolcezza ne’ colori unita", da un ideale di sereno equilibrio nelle ambientazioni architettoniche e paesaggistiche e da una grazia delicata e malinconica nelle figure. La sua prima formazione umbra fu certamente influenzata dalla presenza di importanti maestri perugini o senesi, orvietani, marchigiani e fiorentini che lavoravano a Perugia, tra cui Domenico Veneziano, Benozzo Gozzoli, Beato Angelico e soprattutto Piero della Francesca, dal quale Perugino avrebbe appreso la conoscenza dei principi di armonia spaziale e di equilibrio luministico. In realtà, notizie più certe riguardo al suo apprendistato si riferiscono alla prestigiosa bottega di Andrea del Verrocchio a Firenze, di cui Perugino fu probabilmente allievo, intorno al 1472, insieme a Leonardo, Lorenzo di Credi, Ghirlandaio, Filippino Lippi e Botticelli. Egli rappresentò, infatti, una fonte di grande rinnovamento della cultura artistica fiorentina e toscana, soprattutto per la fusione della nitidezza linearistica di origine verrocchiesca con la trasparenza luministica e la solida volumetria di Piero della Francesca. Nel 1472 Perugino risulta già iscritto alla compagnia di San Luca e le opere degli anni Settanta (uscite ormai dalla sua bottega aperta a Firenze) rivelano già quelle caratteristiche stilistiche che attraverseranno tutto il suo percorso artistico, come nell’Adorazione dei magi del 1473 o nella cosiddetta Nicchia di san Bernardino dello stesso anno, dove sapienti e sicuri risultano il disegno definito ed elegante, la costruzione dello spazio, la qualità diffusa della luce, e gli effetti di grande purezza formale. Dopo altre opere giovanili eseguite tra Perugia, Deruta e Cerqueto, tra il 1480 e il 1482 Perugino viene chiamato a lavorare (probabilmente con un ruolo direttivo) a Roma, alla cappella Sistina, insieme ad altri artisti (tra cui Botticelli, Ghirlandaio e Cosimo Rosselli), per la decorazione della parete dell’altare (successivamente distrutta per far posto al Giudizio universale di Michelangelo) e delle pareti laterali (celeberrima la Consegna delle chiavi, ripresa poi per lo Sposalizio della Vergine). Negli anni Ottanta, gravitando tra Perugia, Roma e Firenze, la sua attività si intensifica notevolmente con l’esecuzione di opere di grande respiro compositivo, come il Trittico Galitzin (1485) o la Crocifissione per la cappella della Porziuncola ad Assisi. Nel 1491 esegue a Roma per il cardinale Della Rovere, futuro papa Giulio II, il Polittico Albani Torlonia. Nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, il Perugino attraversa un periodo di grandissimo successo, grazie alla vivacità e attività della sua bottega, ricchissima di commissioni, che, dopo la morte di Lorenzo, nel 1492, vengono adattate alle nuove esigenze spirituali, devozionali e morali di ispirazione savonaroliana. Nel 1493 il Vannucci sposa Chiara Fancelli, figlia del famoso architetto Luca Fancelli, e il suo volto sereno e austero sarà il prototipo per molti ritratti e Madonne di questo periodo. Tra il 1494 e il 1495, recatosi a Venezia per concordare un dipinto mai eseguito per la sala del Maggior Consiglio in palazzo Ducale, riceve fortissime suggestioni da parte della cultura figurativa lagunare, come si può notare dalla luce dorata e dal particolare colorismo di opere come il Compianto sul Cristo morto del 1495. Ma è la decorazione del Cambio di Perugia (1496-1500) che segna la definitiva conversione della pittura del Perugino a quel famoso classicismo prospettico, armonico ed equilibrato. Nel 1501 Perugino inaugura una bottega anche a Perugia. Risale a questo periodo, infatti, il rapporto di alunnato del giovane Raffaello, il quale presto si sarebbe svincolato dal classicismo un po’ statico e atteggiato del maestro, per seguire una propria personale e profonda ricerca di naturalismo. Fino al 1512 l’attività del Perugino fu molto intensa tra l’Umbria, la Toscana, per lo studiolo di Isabella d’Este e per la Stanza dell’incendio di Borgo in Vaticano. Attuando, in seguito, una ripetizione di certi moduli stilistici e compositivi, non più aggiornati ma pur sempre di grande ispirazione, il Vannucci si ritira definitivamente a lavorare in Umbria, dove, nel febbraio del 1523, muore colpito dalla peste.
Perugino: the works
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Adorazione dei magi
1470-1473 circa
olio su tavola centinata; 241 x 180
Perugia, Galleria nazionale dell’UmbriaLa tradizione storico-critica dal Vasari in poi riferisce quest’opera alla fase giovanile di Pietro Perugino, prima del suo perfezionamento a Firenze. Ciò che rivela una certa immaturità sembra essere l’impasto scuro del colore e certe figure un po’ grossolane, specie nella parte sinistra della tavola. In realtà, nell’opera sono presenti già alcune caratteristiche che attraverseranno tutto il percorso artistico del Perugino: il ritmo regolare e cadenzato delle figure e un’atmosfera di melanconica rassegnazione che pervade tutta la composizione. L’opera eseguita per la chiesa dei Serviti in Colle Landone a Perugia venne trasportata in Santa Maria Nuova quando il primo edificio venne abbattuto per far posto alla rocca Paolina, nel 1542. Nella figura all’estrema sinistra è stato riconosciuto l’autoritratto del Perugino, giudicato di trent’anni circa, per cui si è ricavata l’approssimativa datazione del quadro. Alcuni storici ottocenteschi attribuiscono la tavola a Fiorenzo di Lorenzo.
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Trittico Galitzin
1480-1485
olio su tela; scomparto mediano 101,3x56,5; scomparti laterali 95,2x30,5
Washington, National Gallery of ArtLa mirabile opera deve il suo nome al principe Galitzin, nella cui residenza romana essa si trovava dal 1800 al 1862, prima di entrare a far parte della galleria dell’Ermitage di San Pietroburgo e del successivo collezionista Andrew W. Mellon, attraverso il quale giunse nella sede odierna della National Gallery di Washington. Fin dal Seicento era attribuita a Raffaello. La critica di fine Ottocento e di tutto il Novecento assegna il lavoro al Perugino nel suo periodo romano, ove appaiono evidenti le relazioni con il Pinturicchio, le intuizioni suggestive del periodo giovanile sono reinterpretate in una chiave classica, e l’evento drammatico si stempera in un’atmosfera quasi cortese. La struttura tripartita e architettonica della raffinatissima cornice, che si apre su un arioso e fiabesco paesaggio, e la luminosa descrizione cromatica delle figure denunciano la conoscenza del famoso Trittico Portinari di Hugo van der Goes, giunto a Firenze nel 1483 e destinato a influenzare diversi artisti fiorentini, quale importante testimonianza della presenza di opere fiamminghe in Italia durante il Quattrocento.
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Pietà con santi
1485-1490
olio su tavola; 168 x 176
Firenze, Galleria degli UffiziL’opera, ricordata con ammirazione dal Vasari, fu dipinta per uno degli altari laterali della chiesa di San Giusto alle Mura degli Ingesuati, dove in origine era collocata insieme all’Orazione nell’orto e alla Crocifissione per l’oratorio superiore (entrambe agli Uffizi) e ad alcuni affreschi perduti. Dopo essere stata trasferita fin dal 1531 nella chiesa di San Giovannino della Calza, l’opera, a metà Seicento passò per volontà di Margherita d’Austria nella cappella della villa dell’Imperiale. In seguito, dopo essere stata requisita dai francesi, tornò a Firenze, prima alle Gallerie dell’Accademia, poi agli Uffizi. Vasari, descrivendo l’opera con molta considerazione, sottolinea in particolare la figura del Cristo morto "così intirizzato, come se e’ fusse stato tanto in croce, che lo spazio e il freddo l’avessino ridotto così; onde lo fece reggere a Giovanni et alla Maddalena tutti afflitti e piangenti". La superficie pittorica possiede una qualità lucida e smaltata, il tema signorelliano è tradotto, ormai, in un linguaggio classico e armonico ma con una drammaticità particolarmente composta e trattenuta, forse su suggestione dell’atmosfera creata a Firenze dalle prime prediche del Savonarola, chiamato da Lorenzo il Magnifico nell’estate del 1489.
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Crocifissione con santi
1485-1490
olio su tavola; 203 x 180
Firenze, Galleria degli UffiziEseguita per l’oratorio superiore del convento di San Giusto alle Mura degli Ingesuati di Firenze, passò nel 1531 (insieme ad altre due tavole del Perugino, La Pietà e l’Orazione nell’orto, oggi pure agli Uffizi) in San Giovanni della Calza, insieme al trasferimento degli stessi frati del convento di San Giusto, che nel 1529 avevano dovuto abbandonare la loro residenza, distrutta con l’assedio di Firenze. È stata a lungo creduta opera del Signorelli, soprattutto per lo stile delle figure di san Girolamo e della Maddalena, a tal punto da ritenere l’opera un’esecuzione dei due artisti associati, Perugino e Signorelli. Altri, invece, la attribuiscono al solo Perugino in un periodo intorno al 1490, in un momento ormai prossimo al Trittico Galitzin. La figura del san Girolamo, infatti, sembra eseguita direttamente sul modello diretto del san Girolamo di quell’opera. La scena della Crocifissione non vuole essere realistica e narrativa, ma, piuttosto, meditativa e astratta, immersa in quel paesaggio dalle tipiche tonalità chiare, come fosse una visione mistica dei santi raccolti intorno al corpo del Crocifisso.
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Madonna in trono tra le sante Rosa e Caterina d’Alessandria e due angeli
1489-1492 circa
olio su tavola; diametro cm 148
Parigi, LouvreL’opera, che proviene da palazzo Corsini a Roma, passò nell’Ottocento in collezioni private francesi e poi al Louvre. Cavalcaselle (1866 e 1902) la reputa dipinta a Firenze negli anni Ottanta del Quattrocento e ne ammira l’eccezionale bellezza: "Spirano le figure, tanta calma, soavità e gentile innocenza, che l’occhio dello spettatore vi riposa con molto piacere. Snelle e graziose sono disegnate con contorno nitido […]". Le fonti ottocentesche e novecentesche convengono sull’attribuzione al Perugino e sul giudizio di qualità, ma sono spesso discordi sulla datazione del dipinto. In realtà, l’opera va collegata con il secondo soggiorno romano dell’artista, negli anni 1490-1492, in stretta relazione con il polittico Albani e con quella fondamentale innovazione dello schema compositivo della Sacra conversazione immersa in un’atmosfera crepuscolare e meditativa, che discende dall’idea della pala quadrata con la Sacra Conversazione della prima metà del Quattrocento
Apollo e Dafni
1490 circaDella piccola tavola non esistono notizie documentarie né fonti antiche che la citino. Nei secoli XVIII e XIX era passata di mano tra famosi mercanti e collezionisti inglesi con attribuzione ora a Mantegna ora a Raffaello. Esposta in Francia nel 1858, Eugene Delacroix la vide e ne scrisse un commento di ammirazione nel suo Diario. Infine nel 1893 il dipinto venne acquistato dal Louvre. Nonostante grandi storici dell’arte avessero continuato ad attribuirla a Raffaello, Morelli (1881) avanzò invece l’ipotesi di attribuzione al Perugino, facendo riferimento a un disegno dell’Accademia di Venezia. Tale soluzione trovò consensi sempre più crescenti, mentre rimase aperta la questione della datazione. In base al soggetto, riconosciuto da Del Bravo (1984) come Apollo e Dafni (invece di Apollo e Marsia riferito fino a quel momento), è stata ritenuta possibile la commissione da parte di Lorenzo de’ Medici mentre il pittore umbro, tra il 1490 e il 1491, insieme al Botticelli, al Ghirlandaio e a Filippino Lippi, lavorava ai perduti affreschi mitologici della villa medicea dello Spedaletto presso Volterra (Pisa). Lorenzo, infatti, nel clima di mistico paganesimo della sua corte, aveva cantato, nella sua seconda ecloga, la figura di Dafni, giovane poeta innamorato di Apollo, mentre lo stesso Lorenzo era stato celebrato come Dafni dal poeta di corte Naldo Naldi.
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San Sebastiano
1490 circa
olio su tavola; 176 x 116
Parigi, LouvreSegnalato negli inventari secenteschi della collezione Barberini a Roma, l’opera, considerata uno dei capolavori del Perugino, passò poi nella collezione del principe Maffeo Sciarra Colonna di Roma, dove fu acquistata nel febbraio 1896 dal Museo del Louvre. La datazione risulta incerta, anche in relazione al san Sebastiano dipinto nella tavola con la Madonna in trono e santi datata 1493 (oggi agli Uffizi), che risulta l’esatto corrispondente di questo. Lo stile raffinato, la rigorosa prospettiva della composizione, la pulizia del disegno e la luce bionda e delicata rivelano, pertanto, una relazione con la migliore produzione dell’artista, intorno agli anni 1490. Esistono, inoltre, un disegno autografo a punta d’argento (Museo di Cleveland) relativo al dipinto e due repliche, una al Museo di San Paolo del Brasile e l’altra alla Galleria Borghese di Roma. Splendido il paesaggio collinoso dietro la magnifica architettura del porticato aperto, nitida e pulita anche se parzialmente in rovina nell’imposta dell’arco a sinistra. Il verso alla base del quadro, "SAGITTAE TUAE INFIXE SUNT MICHI" è tratto dal Salmo 37 della Bibbia.
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Madonna in trono col Bambino tra i santi Giovanni Battista e Sebastiano
1493
olio su tavola; 178 x 164
Firenze, Galleria degli UffiziFirmata e datata 1493 in un cartiglio sulla base del trono, e ricordata dal Vasari per il "lodatissimo" san Sebastiano (che riprende l’altro oggi al Louvre), la pala fu eseguita per l’altare della cappella che Cornelia di Giovanni Martini da Venezia fece costruire nel 1488 in San Domenico di Fiesole. Dopo essere passata nel 1645 in proprietà della famiglia Guadagni, fu acquistata dal Granduca Leopoldo (1786) e destinata alla Tribuna della Galleria degli Uffizi. I giudizi critici sono discordi e incerti nell’attribuire all’opera ora un netto progresso nello stile del Perugino ora, al contrario, l’inizio della sua decadenza. Altri la considerano un esempio di equilibrio perfetto tra figure e architettura, che contraddistingue il momento centrale dell’attività di Pietro. Anche in quest’opera sembra che Perugino abbia voluto tenere conto del linguaggio semplice, essenziale e devozionale propugnato dal Savonarola nelle sue prediche, come si può notare dall’andamento armonico, sereno, pacato delle figure, non toccate da atteggiamenti e sentimenti esasperati, ma come immerse in un tiepido raccoglimento e in una bellezza morale.
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Compianto sul Cristo morto
1495
olio su tavola; 195 x 220
Firenze, Palazzo Pitti, Galleria PalatinaL’opera, uno dei capolavori del Perugino, era collocata in origine sul secondo altare destro della chiesa di Santa Chiara a Firenze. Firmata e datata 1495 (come si legge sul masso ove è adagiato il corpo di Cristo), fu ammirata dal Vasari soprattutto per la mirabile rappresentazione degli affetti e per l’ampio "paese che fu tenuto allora bellissimo". Tolta dalla chiesa nel periodo delle soppressioni conventuali, fu trasferita a Parigi (1799-1814) e poi restituita all’Accademia da dove passò nel 1834 presso la Galleria di Palazzo Pitti. Nella stessa Galleria Palatina il Compianto di Fra’ Bartolomeo è ispirato chiaramente alla composizione del Perugino. Le antiche fonti citano il quadro, descrivendolo e lodandolo ampiamente. Il giudizio più interessante è, forse, quello del Cavalcaselle (1866 e 1902) che sottolinea la capacità del maestro di graduare la tensione drammatica dei singoli protagonisti con una delicatezza che prelude la via di Raffaello. Il Venturi (1903) invece vede nell’opera un lieve pietismo di maniera, tipico di quasi tutta la restante produzione dell’artista.
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Sala del Cambio
1496-1500
affresco; 291 x 400
Perugia, collegio del Cambio (palazzo dei Priori), sala dell’UdienzaFu probabilmente l’umanista perugino Francesco Maturanzio a stabilire il programma concettuale e iconografico per gli affreschi della sala dell’Udienza del palazzo dei Priori di Perugia, ove aveva preso fissa dimora l’Arte del Cambio, la corporazione più potente (insieme a quella della Mercanzia) nel governo della città umbra. Questo è uno dei due lunettoni della parete sinistra della sala. In alto, le due Virtù cardinali, la Fortezza e la Temperanza, sono sedute sulle nuvole. Due coppie di putti reggono targhe con iscrizioni latine, mentre in basso sono allineati (sopra uno sfondo di paesaggio) sei eroi antichi, simboli di virtù civica, di rettitudine e di giustizia, in accordo alla funzione della sala come tribunale per cause di diritto civile. Certamente l’iconografia “ciceroniana”, di soggetto classico, si può ricondurre al clima erudito e archeologizzante di Roma, cui si ispirarono anche altri artisti contemporanei del Perugino, come, per esempio, il Pinturicchio. Un’altra fonte può essere la decorazione con gli Uomini illustri, dipinta dal Ghirlandaio in palazzo Vecchio a Firenze tra il 1481 e il 1485, dove, anche il Perugino, era stato chiamato a lavorare.
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Sala del Cambio - Trasfigurazione
1496-1500
affresco; 229 x 370
Perugia, collegio del Cambio (palazzo dei Priori), sala dell’UdienzaIn questo affresco, che si trova sulla parete lunga del collegio del Cambio di Perugia (sede della corporazione più potente della città), Perugino ha accordato l’iconografia classica delle antiche virtù con i misteri della fede biblica e cristiana. In alto, l’Eterno è inserito in un tondo tra teste di cherubini e angeli. In basso, sei profeti e sei sibille attribuiscono un valore soprannaturale e religioso a quelle virtù umane già raffigurate in altre scene della sala. Gli affreschi del Cambio furono citati in quasi tutta la letteratura artistica, come opera mirabile e pregevole tra i capolavori del Perugino, il quale si servì di aiuti e collaboratori, tra i quali non si esclude Raffaello. L’Orsini (1784 e 1804), a proposito dello stile di Perugino in questo lunettone, scrive: "Sembra che quasi abbia voluto dimenticarsi del proprio stile per seguitarne uno migliore, e più grandioso nel disegno, e nel composto, e con maggiore artifizio condotto nell’aggruppare insieme tanto belle attitudini, per quanto sono le figure dei profeti e delle sibille".
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Sposalizio della Vergine
1502-1504
olio su tavola; 234 x 185
Caen, Musée des Beaux-ArtsLa storia documentaria dello Sposalizio è molto lunga e complessa e muove dalla prima commissione nel 1489 al Pinturicchio, da parte del Consiglio comunale di Perugia (attraverso l’intercessione della confraternita di San Giuseppe) per una pittura su tavola per la nuova cappella in duomo, che conservava la reliquia dell’anello nuziale della Vergine. Venuto meno il Pinturicchio all’impegno, il lavoro venne affidato al maestro Perugino e compiuto, dopo diverse interruzioni, con ogni probabilità entro il 1504. Dopo la requisizione napoleonica del 1797 e l’arrivo a Perugia, il dipinto subirà diversi spostamenti fino all’arrivo nella cittadina normanna di Caen, ove rimase, nonostante i tentativi, anche da parte di Canova, di restituzione al Comune di Perugia. L’ampia prospettiva del quadro, con al centro l’edificio ottagono con i grandi protiri, e la composizione allineata delle figure hanno chiarissimi legami con la Consegna delle chiavi della cappella Sistina (1481-1482 circa) e con lo Sposalizio di Raffaello, oggi a Brera.
Iconography