Andrea Mantegna: biografia
Tra il 1441 e il 1445 è iscritto nell’elenco dei pittori padovani come “figlioccio” di Francesco Squarcione. Per la sua formazione sarà fondamentale il fecondo ambiente dell’umanesimo padovano, vitalizzato dal passaggio in città di grandi maestri toscani: Filippo Lippi, Paolo Uccello, Andrea del Castagno e Donatello. Nel 1448 riceve, insieme a Niccolò Pizolo, l’incarico di affrescare per conto di Imperatrice Ovetari la cappella di famiglia agli Eremitani di Padova, intitolata ai santi Cristoforo e Giacomo. L’improvvisa morte del compagno, lo lascerà solo nell’esecuzione della vasta decorazione che lo impegnerà fino al 1457. L’opera andrà quasi interamente perduta durante la seconda guerra mondiale, ma quanto è sopravvissuto basta a testimoniare il segno vigoroso e incisivo con cui ritrae personaggi eroici le cui gesta si svolgono entro un limpido impianto prospettico di matrice toscana. Nel 1449 Andrea è a Ferrara, presso Lionello d’Este; nel 1453 sposa Nicolosia, sorella del pittore Giovanni Bellini. Per la chiesa di San Zeno a Verona dipinge tra il 1457 e il 1460 la pala in forma di trittico per l’altare maggiore, dove unisce lo spazio per dare maggiore verità al consesso di santi disposti intorno alla Madonna col Bambino sotto un fregio classico di putti e un fastigio di ghirlande di frutta. Nel 1460 accoglie l’invito del marchese Ludovico Gonzaga e si trasferisce a Mantova. Tra i suoi rari viaggi nel 1467 è a Firenze, l’anno seguente a Pisa e, dal 1488 al 1490, a Roma, chiamato a decorare la cappella di Innocenzo VIII in Vaticano, opera perduta. Presso la corte Gonzaga è impegnato su diversi fronti: dalla pittura sacra alla ritrattistica, dalla grande decorazione all’incisione. Nel 1464 è documentato alla decorazione della cappella marchionale nel castello, poi distrutta, cui sono stati collegati la Morte della Vergine e il Trittico degli Uffizi (1464-1470). Tra il 1465 e il 1474 realizza la decorazione della Camera degli sposi in Palazzo ducale. Al ruolo di magistrale decoratore alterna la produzione di dipinti di intensa religiosità, come il Cristo morto (1480 circa) della Pinacoteca di Brera a Milano. Nel 1486 lavora alle nove tele con i Trionfi di Giulio Cesare, ispirati alla letteratura classica e all’archeologia. Del 1496 è la Pala della vittoria oggi a Parigi, per Francesco II Gonzaga e, a partire dal 1497, dipinge per lo studiolo di Isabella d’Este (Parnaso, 1497 circa; Trionfo della Virtù, 1502). La sua ultima opera documentata è il Il regno di Como, rimasta incompiuta alla morte e conclusa da Lorenzo Costa.
Andrea Mantegna: le opere
Archivio Giunti
Presentazione al tempio
1454-1455
tempera su tela; 67 x 86
Berlino, Staatliche MuseenDatata agli anni Cinquanta del secolo per l’utilizzo della cornice marmorea, che collega il dipinto ad altre opere contemporanee del Mantegna, la tela di Berlino concentra l’azione narrata in primissimo piano, su un unitario fondo scuro. I personaggi sono infatti ritratti a mezzobusto, come in alcune lastre tombali romane, e si appoggiano alla finta finestra marmorea. I due personaggi alle estremità della composizione, che guardano sulla sinistra senza prestare attenzione all’azione sacra, sono stati identificati con lo stesso Mantegna e sua moglie Nicolosia Bellini, figlia di Jacopo, che il pittore sposò tra il 1452 e il 1453. La presenza dei due ritratti, suggerisce che il dipinto, destinato a una raccolta privata, sia da mettere in relazione a uno specifico avvenimento, probabilmente la nascita del primogenito della coppia, avvenuta proprio tra il 1454 e il 1455.
IconografiaArchivio Giunti
Pala di San Zeno
1457-1460
tempera su tavola; scomparto centrale 212 x 125; scomparto di sinistra 213 x 134; scomparto di destra 213 x 135
Verona, Basilica di San Zeno, altare maggioreL’opera è l’unico dipinto mobile del pittore ancora conservato nella sua collocazione originaria, benché privo delle predelle. Nel 1797 la pala fu infatti requisita dai commissari francesi per essere trasportata a Parigi, dove i pannelli vennero smembrati. Le predelle non furono mai restituite e furono divise tra il Louvre (Crocifissione) e il Museo di Tours (Orazione nell’Orto e Resurrezione), mentre quelle attualmente visibili sono copie ottocentesche eseguite dal pittore Paolo Caliari. Commissionata dall’abate Gregorio Correr per la chiesa di San Zeno a Verona, la pala mostra al centro la Vergine in trono, raffigurata secondo l’iconografia bizantina della Madonna Vittoriosa, e circondata da angeli cantori. Otto santi si dispongono simmetricamente ai lati della composizione, riflettendo le preferenze devozionali del committente e la sua predilezione per la lettura dei testi sacri: a sinistra sono Pietro, Paolo, Giovanni evangelista e Zeno; a destra, Benedetto, Lorenzo, Gregorio e Giovanni Battista. L’intera composizione è densa di richiami all’antichità, a partire dal fregio con i putti reggighirlanda, o dal trono concepito come un sarcofago. La cornice, probabilmente disegnata dallo stesso Mantegna, è ancora quella originale, e rappresenta un capitolo fondamentale nell’evoluzione spaziale della pala d’altare, consentendo al pittore il superamento della divisione in scomparti.
Archivio Giunti/Foto Rabatti-Domingie, Firenze
Ascensione
1462-1464
tempera su tavola; 86 x 42,5
Firenze, UffiziLa tavola è stata riunita in un trittico, il cosiddetto Trittico degli Uffizi solo nel 1827, insieme alla Circoncisione e all’Adorazione dei magi. Le tavole giunsero nella collezione medicea intorno al 1588 dalla raccolta Gonzaga. Si tratta probabilmente della prima importante commissione di Mantegna per Ludovico Gonzaga, la decorazione della cappella del Castello di San Giorgio a Mantova, cui apparteneva anche la tavola raffigurante la Morte della Vergine (Madrid, Museo del Prado). In questa tavola Cristo ascende in cielo su una nube, circondato da una schiera di cherubini, alla presenza della Vergine e dei dodici apostoli. La cappella del Castello di San Giorgio fu smantellata già nella seconda metà del XVI secolo, in occasione della costruzione della nuova cappella nel 1563.
IconografiaAdorazione dei Magi
1462La tavola è stata riunita in un trittico, il cosiddetto Trittico degli Uffizi solo nel 1827, insieme all’Ascensione e alla Circoncisione. Le tavole giunsero nella collezione medicea solo intorno al 1588 dalla raccolta Gonzaga. Si tratta probabilmente della prima importante commissione di Mantegna per Ludovico Gonzaga, la decorazione della cappella del Castello di San Giorgio a Mantova, cui apparteneva anche la tavola raffigurante la Morte della Vergine (Madrid, Museo del Prado). Il pannello con l’Adorazione dei magi si differenzia dagli altri due per la forma concava del supporto e per le dimensioni, dato che ha fatto ipotizzare la sua presenza nell’abside della cappella. Il corteo dei magi si snoda lungo un sentiero che sembra tagliato nella roccia, e raffigura il riconoscimento della divinità di Cristo da parte dei re delle genti. Nella grotta, la Vergine appare circondata da una mandorla di cherubini, secondo un modello bizantino, che sottolinea l’interesse di Mantegna e dell’ambiente padano-veneto per la cultura greco-bizantina. La cappella del Castello di San Giorgio fu smantellata già nella seconda metà del XVI secolo, in occasione della costruzione della nuova cappella nel 1563.
IconografiaMorte della Vergine
1462-1464Mantegna raffigura l’estremo momento di Maria all’interno di uno spazio definito da architetture classicheggianti, con una pavimentazione a riquadri perfettamente scorciata che conduce all’elemento orizzontale della Vergine distesa. Al di là della scena sacra, si apre un paesaggio lacustre che riproduce con esattezza il ponte e il borgo del Castello di San Giorgio a Mantova. Infatti l’opera faceva probabilmente parte della decorazione della cappella del Castello, insieme a tre tavole oggi conservate al Museo degli Uffizi di Firenze, l’Adorazione dei magi, l’Ascensione di Cristo e la Circoncisione. L’incompletezza dei pilastri dell’arco che sovrasta il corpo della Vergine ha fatto ipotizzare un’estensione molto più vasta della tavola, tagliata in un momento imprecisato. Alla composizione apparteneva probabilmente il frammento raffigurante Cristo con l’animula della Madonna (Ferrara, Pinacoteca nazionale), scena che tradizionalmente accompagna le raffigurazioni della Morte della Vergine.
IconografiaArchivio Giunti/Foto Rabatti-Domingie, Firenze
Circoncisione
1462-1464
tempera su tavola; 86 x 42,5
Firenze, UffiziLa tavola è stata riunita in un trittico, il cosiddetto Trittico degli Uffizi solo nel 1827, insieme all’Ascensione e all’Adorazione dei magi. Le tavole giunsero nella collezione medicea intorno al 1588 dalla raccolta Gonzaga. Si tratta probabilmente della prima importante commissione di Mantegna per Ludovico Gonzaga, la decorazione della cappella del Castello di San Giorgio a Mantova, cui apparteneva anche la tavola raffigurante la Morte della Vergine (Madrid, Museo del Prado). La tavola riunisce i due temi, che nella realtà si svolsero in momenti diversi, della Circoncisione e della Presentazione al Tempio. La cappella del Castello di San Giorgio fu smantellata già nella seconda metà del XVI secolo, in occasione della costruzione della nuova cappella nel 1563.
IconografiaArchivio Giunti
San Sebastiano
1480-1485 c.
tempera su tavola; 257 x 142
Parigi, LouvreIl martirio del santo è rappresentato da un punto di vista ribassato, per conferire maggiore monumentalità alla figura nuda, legata al rudere di una colonna scanalata dipinta con minuto descrittivismo. Ai piedi del santo appaiono altri frammenti antichi, tra cui un piede di marmo, mentre nel fondo appaiono edifici sia antichi che moderni. I due arcieri in basso a destra, tagliati ai bordi della tela, così come i dolenti del Cristo morto di Brera, sono trattati con crudo realismo. Tra fine Sei e inizio Settecento il dipinto è ricordato nella Sainte Chapelle di Aigueperse in Auvergne, fondata nel 1475 da Luigi I di Borbone, e la sua presenza in Francia va fatta risalire al matrimonio di Chiara Gonzaga con Gilbert de Bourbon, delfino d’Auvergne, avvenuto nel 1481.
IconografiaSansone e Dalila
1495 circadipinto è stato messo in relazione con la Giuditta della National Gallery di Dublino, per analogie nella tecnica esecutiva e nel tema moralizzante. La presente tela si contrapporrebbe all’esempio positivo dell’eroina biblica del dipinto di Dublino. Sull’albero appare l’iscrizione «FOEMINA/DIABOLO TRIBVS/ASSIBVS EST/MALA PEIOR», che invita a diffidare della donna malvagia, ben peggiore del demonio. Dalila era infatti la donna filistea corrotta dal suo popolo per farsi rivelare il segreto della mitica forza di Sansone, che risiedeva nei suoi capelli. Ella è così ritratta mentre taglia la chioma dell’israelita. La tela appartiene alla tarda attività dell’artista.
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Madonna della Vittoria
1496
tempera su tela; 280 x 166
Parigi, Louvredipinto fu commissionato da Francesco Gonzaga per commemorare la vittoria nella battaglia di Fornivo, e fu prelevato dai commissari francesi dalla chiesa mantovana di Santa Maria della Vittoria nel 1797 per essere trasportato a Parigi, da dove non ha fatto più ritorno. Al centro della composizione appare la Vergine in trono, sul cui basamento compaiono alcune scene tratte dalla Genesi, in finto bronzo dorato. Il gesto benedicente di Maria verso Francesco Gonzaga, che appare abbigliato dell’armatura con cui aveva vinto la battaglia, rimanda alla Pala di San Cassiano di Antonello da Messina. A sinistra del trono, invece del ritratto di Isabella, moglie di Francesco Gonzaga, appare la sua santa protettrice, santa Elisabetta con suo figlio Giovanni Battista. Ai lati del trono, i santi guerrieri Michele e Giorgio sollevano il manto di Maria, in allusione all’iconografia della Madonna della Misericordia, mentre, sullo sfondo, i santi Andrea e Longino, di cui si scorgono solo i volti, schiudono la composizione. La pergola con struttura ad abside semicircolare che lascia intravedere il cielo, impreziosita da corallo e agrumi, sarà ripresa dal Correggio nella Camera di San Paolo a Parma.
Archivio Giunti
Parnaso
1497
tempera su tela; 150 x 192
Parigi, LouvreDi ritorno a Mantova da Roma, dove aveva passato due anni al servizio di Innocenzo VIII, Mantegna collabora alla decorazione dello studiolo che la giovane moglie di Francesco Gonzaga, Isabella d’Este, stava progettando nel castello di San Giorgio già dal 1491. Il dipinto di Mantegna, terminato nel 1497, fu il primo a essere collocato nello studiolo, cui si aggiunsero più tardi il Trionfo della Virtù, sempre di Mantegna, la Lotta di Amore e Castità, del Perugino, l’Allegoria di Isabella d’Este di Lorenzo Costa e Il mito del dio Como, commissionato al Mantegna ma eseguito dopo la sua morte dal Costa. Le due opere di Mantegna furono cedute tra il 1627 e il 1629 al cardinale Richelieu per il suo castello di Poitou, da dove furono prelevate nel 1800 per il Musée Napoleon di Parigi. Il Parnaso, le cui interpretazioni simboliche sono molteplici, mostra al centro, su di un arco roccioso, Marte e Venere abbracciati davanti a un letto, mentre Cupido colpisce con una cerbottana il legittimo consorte della dea, Vulcano, rappresentato nella sua fucina. A destra appare Mercurio con Pegaso, il cavallo alato, mentre le nove Muse danzano alla musica della lira di Apollo. Il dipinto esalta chiaramente gli ideali di Isabella, tesa a coltivare e promuovere le arti liberali.
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Madonna Trivulzio
1497
tempera su tela; 287 x 214
Milano, Civico Museo d’Arte Antica, Castello SforzescoLa mandorla con cherubini che circonda la Vergine col bambino allude all’iconografia dell’Assunzione, evento miracoloso cui presenziano, quasi a formare delle quinte teatrali, i santi Giovanni Battista e Gerolamo, e Gregorio Magno e Benedetto, circondati da due alberi di agrumi. Le due figure in primo piano sono dipinte secondo una prospettiva che presuppone una visione di sotto in su. In basso al centro si scorgono i busti di tre angeli cantori attorno a un organo, che allude alla chiesa olivetana di Santa Maria in Organo a Verona, per la quale la tela fu eseguita, mentre l’attuale nome della pala si deve al suo passaggio nella collezione milanese Trivulzio, dove rimase dal 1791 al 1935, anno in cui entrò nel museo milanese.
Trionfo della Virtù
1502La tela è il secondo dipinto eseguito da Mantegna per lo studiolo di Isabella d’Este, dopo il Parnaso del 1497. All’interno di un hortus conclusus appare una palude dove allignano i Vizi, raffigurati come esseri deformi, chiaramente identificabili dai cartigli, secondo un uso didascalico medievale. Tra questi appaiono l’Ozio, privo di braccia, trascinato da Minerva, una figura scimmiesca definita dal cartiglio l’”Odio immortale, frode e malizia”, l’Avarizia e l’Ingratitudine che trasportano l’Ignoranza incoronata. Al centro appare Diana, dea della castità, rappresentata secondo un modello classico, che sta per essere rapita da un centauro, simbolo di concupiscenza. In aiuto della dea accorre Minerva, dea della saggezza, accanto alla quale compare un albero con sembianze femminili. Nel cielo, in una nube, appaiono le Virtù cardinali: la Giustizia, la Fortezza e la Temperanza.