Simone Martini: biografia
Originario di Siena o, secondo alcuni, di San Gimignano, si forma alla bottega di Duccio di Buoninsegna ed esordisce nel 1313 con un’importante commissione del governo senese: la Maestà per la sala del Mappamondo di Palazzo pubblico. L’opera, di squisito gusto cortese, è eseguita con tecnica pittorica raffinatissima, con largo impiego di materiali preziosi e della punzonatura. Nel 1314 inizia il ciclo di affreschi con le Storie di san Martino, nell’omonima cappella della basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. Nel 1317 viene chiamato a Napoli da Roberto d’Angiò, che lo nomina cavaliere e gli commissiona una tavola celebrativa, oggi a Capodimonte. All’artista, ormai pienamente affermato e con propria bottega, viene richiesto nel 1320 un polittico per la chiesa di Santa Caterina a Pisa e un altro, oggi smembrato, per San Domenico di Orvieto. Tornato a Siena, realizza probabilmente l’affresco con Guidoriccio da Fogliano, immagine araldica di un cavaliere da fiaba immerso in un paesaggio di scarna suggestione. Nella pala con il Beato Agostino Novello e quattro miracoli Simone torna al racconto colorito e semplice della pittura di devozione. Nel 1333 esegue, con l’aiuto del cognato Lippo Memmi, il Trittico dell’Annunciazione oggi agli Uffizi. Intorno al 1340 si trasferisce ad Avignone, alla corte di papa Benedetto XII, dove esegue affreschi quasi completamente perduti per la chiesa di Notre-Dame des Doms, e il Polittico della Passione caratterizzato da un linguaggio fortemente drammatico. Ai suoi ultimi anni appartiene la Sacra Famiglia oggi a Liverpool, dove l’artista interpreta con grande realismo un tema inedito: Giuseppe che rimprovera il figlio dopo la disputa nel tempio.
Simone Martini: le opere
Archivio Giunti
Maestà
1313-1315
affresco; 763 x 970
Siena, Palazzo pubblico, sala del MappamondoFirmata e datata nella parte bassa della cornice, la Maestà costituisce l’opera centrale della giovinezza di Simone Martini. Sotto un ampio baldacchino, appare la Vergine in trono circondata da angeli e da una folta schiera di santi, alcuni dei quali reggono le aste della copertura. Tra le tante figure di santi, sono riconoscibili, inginocchiati in basso, i quattro protettori di Siena: Ansano, Savino, Crescenzio e Vittore. Nella parte destra dell’affresco sono Pietro, Michele arcangelo, Agnese, Barbara, Giovanni Battista; nella parte sinistra, Paolo, Giovanni evangelista, Caterina d’Alessandria, la Maddalena. Eseguito tra il 1313 e il 1315, l’affresco fu concepito come una grandiosa opera di oreficeria, arricchita da decorazioni a punzone in oro, parti metalliche colorate e rilievo a stucco. Nel 1321 fu “restaurato” da Simone e la sua bottega.
Archivio Giunti
L’investitura a cavaliere di san Martino
1314-1318
affresco; 265 x 200
Assisi, basilica inferiore di San Francesco, cappella di San MartinoLa scena fa parte del ciclo di affreschi eseguito da Simone Martini nella cappella di San Martino, nella basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. Ritenuti sino alla fine del XVIII secolo opera di Puccio Capanna, allievo di Giotto, i dipinti si avvicinano all’opera del grande protagonista pittorico della basilica nell’impostazione delle strutture architettoniche e in alcuni particolari dei paesaggi. Tuttavia la monumentale saldezza delle figure giottesche non trapassa nelle figurazioni di Simone, permeate di una aristocratica eleganza e contraddistinte da colori puri e brillanti. Il riquadro mostra il momento dell’investitura di Martino di Tours da parte di Costantino II, figlio di Costantino il Grande.
IconografiaArchivio Giunti
Rinuncia alle armi di san Martino
1315-1317
affresco; 265 x 230
Assisi, basilica inferiore di San Francesco, cappella di San MartinoLa scena fa parte del ciclo di affreschi eseguito da Simone Martini nella cappella di San Martino, nella basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. Ritenuti sino alla fine del XVIII secolo opera di Puccio Capanna, allievo di Giotto, i dipinti si avvicinano all’opera del grande protagonista pittorico della basilica nell’impostazione delle strutture architettoniche e in alcuni particolari dei paesaggi. Tuttavia la monumentale saldezza delle figure giottesche non trapassa nelle figurazioni di Simone, permeate di una aristocratica eleganza e contraddistinte da colori puri e brillanti. La scena mostra il momento in cui, dopo aver chiesto di abbandonare l’esercito ed essere stato accusato di codardia, Martino affronta il nemico portando con sé solo una croce.
IconografiaArchivio Giunti
Esequie di san Martino
1315-1317
affresco; 284 x 230
Assisi, basilica inferiore di San Francesco, cappella di San MartinoLa scena fa parte del ciclo di affreschi eseguito da Simone Martini nella cappella di San Martino, nella basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. Ritenuti sino alla fine del XVIII secolo opera di Puccio Capanna, allievo di Giotto, i dipinti si avvicinano all’opera del grande protagonista pittorico della basilica nell’impostazione delle strutture architettoniche e in alcuni particolari dei paesaggi. Tuttavia la monumentale saldezza delle figure giottesche non trapassa nelle figurazioni di Simone, permeate di una aristocratica eleganza e contraddistinte da colori puri e brillanti. Le Esequie di san Martino costituiscono la scena finale del ciclo affrescato.
IconografiaArchivio Giunti
Polittico di san Gimignano
1317 c.
tempera su tavola; ogni scomparto 59 x 35; cuspide 33 x 31
Cambridge, Fitzwilliam MuseumInsieme alla la Madonna col Bambino del Wallraf-Richartz Museum di Colonia e la Santa Caterina in collezione Frescobaldi a Firenze, il dipinto oggi a Cambridge faceva parte di un vasto polittico a sette scomparti eseguito intorno al 1317 per la chiesa di Sant’Agostino a San Gimignano, dove fu visto dal Vasari, che lo attribuì al Memmi. Nel 1785 il polittico era ancora in situ, come si evince dal commento alle Vite del Della Valle, ma fu probabilmente smembrato e venduto al tempo delle soppressioni napoleoniche. Ancora di sapore duccesco e con ricordi della Maestà, il polittico mostra una spaziosa eleganza formale e cromatica che fa propendere per l’attribuzione a Simone, e non completamente alla sua bottega, come ipotizzato a partire dal Vasari.
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San Ludovico da Tolosa
1317
tempera su tavola; 309 x 188,5
Napoli, Museo di CapodimonteL’opera fu probabilmente eseguita nel 1317, anno della canonizzazione di Ludovico, secondogenito di Carlo II d’Angiò, re di Sicilia, e di Maria d’Ungheria. Il santo rinunciò alla corona in favore del fratello minore Roberto, che appare inginocchiato nella destra della tavola. L’ascesa al trono di Roberto sollevò numerose contestazioni e il dipinto di Simone, in cui è raffigurato Ludovico nell’atto di essere incoronato da due angeli, e Roberto, incoronato dal fratello, ribadisce la legittimità del regno di Napoli. Ancora una volta l’opera è concepita come un prezioso lavoro di oreficeria, dove, sul fondo oro si stagliano le severe figure, che possono essere considerate tra i primi ritratti della storia della pittura italiana.
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Polittico di Boston
1320 c.
tempera su tavola; tavola centrale 137 x 102; laterali 116 x 76
Boston, Isabella Steward Gardner MuseumSi trovava in origine nella chiesa di Santa Maria dei Servi ad Orvieto, dove fu acquistato nel 1851 per poi essere venduto, alla fine del secolo, con il tramite di Berenson, a Isabella Stewart Gardner. Il polittico appartiene a un gruppo di tre opere eseguite all’inizio del terzo decennio del secolo dall’atelier di Simone per la città di Orvieto. Molto dibattuta è l’autografia dei singoli scomparti, anche se l’idea del Bambino che solletica il mento della Vergine è da attribuirsi allo stesso Simone, come anche l’eleganza “gotica” e la tensione lineare e dinamica dell’insieme.
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Polittico di Pisa
1320
tempera su tavola; parte centrale 35 x 64; scomparti laterali 35 x46
Pisa, Museo Nazionale di San MatteoIl grandioso retablo, che comprende ben 43 mezze figure di santi, fu eseguito nel 1320 per l’altar maggiore della chiesa domenicana di Santa Caterina a Pisa. Smembrato e disperso, il polittico fu ricostruito grazie alle ricerche di Ernst Förster, a partire dalle parti ancora conservate a Pisa, all’epoca attribuite a Giotto. Gli scomparti furono rivenuti in uno stanzino del seminario vescovile, ma furono tenuti segretamente nascosti per il timore che prendessero la via del mercato antiquario. Firmato in basso nello scomparto centrale, si tratta certamente del polittico più integro e complesso fra quelli pervenutici di Simone. La divisione in scomparti è superata dall’introduzione di gesti e motivi sempre diversi, imponendo il linguaggio di Simone come prototipo per i polittici d’altare toscani.
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Il beato Agostino Novello
1328
tempera su tavola; 200 x 256
Siena, Sant’AgostinoLa tavola è divisa in tre parti: al centro appare la severa figura stante del beato senese agostiniano Agostino Novello, mentre ai lati sono narrate le storie miracolose della sua vita. Agostino era nato a Terranova di Sicilia intorno al 1235 da padre senese, e, dopo aver studiato a Bologna, divenne consigliere e giudice di re Manfredi. Alla morte del re entrò nell’ordine agostiniano e si trasferì a Siena, nei cui pressi, nell’eremo di San Leonardo al Lago, morì nel 1309, divenendo immediatamente una delle personalità più venerate della città toscana. La pala era collocata sopra la tomba del beato nella chiesa di Sant’Agostino a Siena, e Agostino vi è raffigurato con l’aureola di santo in omaggio al profondo culto popolare che gli era tributato. L’alta qualità pittorica è riscontrabile anche nelle storiette laterali, ambientate entro le mura di Siena medievale.
IconografiaArchivio Giunti
Guidoriccio da Fogliano
1328
affresco; 340 x 968
Siena, Palazzo pubblico, sala del MappamondoL’affresco mostra il comandante dell’esercito senese nella presa del castello di Montemassi in Maremma, avvenuta nel 1328, ed è collocato nella Sala Maggiore del Palazzo pubblico di Siena, proprio di fronte alla Maestà di Simone. La zona di destra, in cui appare il castello di Montemassi, è un rifacimento tardo-quattrocentesco, condotto con molta probabilità sull’originale, e anche il blu del cielo fu ridipinto in un momento successivo alla stesura originale. La figura del condottiero e dell’accampamento sulla sinistra sono invece in buono stato, anche se hanno perduto la ricchissima decorazione originale, tranne i tipici punzoni aurei della pittura di Simone. Le decorazioni della gualdrappa e della giornea del cavallo, oltre alle vesti di Guidoricccio, erano ricoperte da una sottile lamina di piombo argentato, mentre le losanghe, oggi nere, erano probabilmente auree. Il fulgido gruppo centrale gareggiava dunque con la Maestà della parete di fronte, contrapponendo le glorie civiche a quelle religiose e politiche della città.
Archivio Giunti/Foto Rabatti-Domingie, Firenze
Trittico dell'Annunciazione
1333
tempera su tavola; 265 x 305
Firenze, UffiziIntorno al 1330 lo stile di Simone diviene sempre più raffinato e sottile, con scarsa attenzione alle notazioni naturalistiche. Il culmine di questa tendenza è riscontrabile nel Trittico dell’Annunciazione degli Uffizi, eseguito nel 1333 per il duomo di Siena. La tavola reca la doppia firma di Simone e di Lippo Memmi, anche se la critica è concorde nel ritenere il dipinto il più celebrato capolavoro di Simone. L’intera composizione è intrisa di luce dorata, accentuata dalla preziosità dei ricami, trattati a punzonatura o a pastiglia. La Vergine si ritrae timorosa all’annuncio dell’angelo, che appare ancora in movimento, con le ali al massimo della loro tensione verticale, e con in mano un ramo d’ulivo, mentre i gigli appaiono in un vaso al centro dell’ambiente.
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Allegoria virgiliana
1340 c.
Minio del frontespizio del Virgilius cum notis Petrarcae; mm. 295 x 200La scena costituisce il frontespizio miniato di un codice con le opere di Virgilio commentate da Servio, un tempo appartenuto al Petrarca. Rubato nel 1326, il prezioso manoscritto fu ritrovato nel 1338 e in quell’occasione Simone, amico di Petrarca, ne miniò ad Avignone la prima pagina con la raffigurazione di Servio che solleva il velo delle oscurità di Virgilio, raffigurato sulla destra. Accanto a Servio appare Enea, protagonista dell’opera più famosa del poeta latino, l’Eneide, mentre il contadino e il pastore in primo piano fanno riferimento alle altre opere di Virgilio, le Bucoliche e le Georgiche. Al centro sono dipinte due coppie di esametri, scritti su rotuli tenuti da mani alate, che commemorano Virgilio, frutto della terra italica, e Servio, capace di svelarne gli “arcani”. La minitura a tempera costituisce uno dei punti fermi per la ricostruzione dell’attività avignonese di Simone e per l’individuazione del suo stile tardo, che unisce simbolismo didascalico a una resa fresca e analitica della natura.