Filippino Lippi: biografia
Nato a Prato nel 1457 dall’unione del pittore fiorentino fra’ Filippo Lippi con la bella monaca Lucrezia Buti, Filippino fin da giovanissimo lavorò come aiuto del padre agli affreschi dell’abside del Duomo di Spoleto che portò a termine, dopo che il genitore morì nel 1469, insieme al pittore fra’ Diamante presso il quale Filippino fu poi messo a bottega. Nel 1472, però, la sua presenza è già documentata nella bottega di Sandro Botticelli, il più fedele tra gli allievi del padre Filippo, che a sua volta contribuirà fortemente alla formazione dello stile di Filippino. La carriera autonoma dell’artista si svilupperà all’inizio degli anni Ottanta, durante i quali si collocano alcuni lavori importanti come il completamento degli affreschi di Masaccio della cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine a Firenze tra il 1482 e il 1485. In questi anni, oltre alla realizzazione della tavola della Visione di san Bernardo della Badia fiorentina del 1480 circa e della Pala degli Otto, realizzata come commissione pubblica per il palazzo della Signoria nel 1485, Filippino firmerà nel 1487 il contratto per gli affreschi della cappella Strozzi in Santa Maria Novella a Firenze, portati a termine solo nel 1502. Per interessamento di Lorenzo il Magnifico, nel 1488 Filippino venne chiamato a Roma per affrescare la cappella del cardinale Oliviero Carafa in Santa Maria sopra Minerva, la più importante chiesa domenicana di Roma. La realizzazione degli affreschi di questa cappella, dedicata alla Vergine, contribuì alla definizione del Lippi come artista anticlassico per eccellenza, denominato tante volte “bizzarro” da Vasari a causa dei particolari fantasiosi ed estremamente dettagliati delle scene affrescate e delle decorazioni “a grottesche” ispirate a quelle antiche dipinte negli ambienti interrati della romana Domus Aurea venuta alla luce in quel periodo. Rientrato a Firenze, Filippino, che aveva lasciato interrotto il lavoro della cappella Strozzi in Santa Maria Novella, si fece interprete della crisi causata dalla morte di Lorenzo il Magnifico (1492) e dalle predicazioni del frate Girolamo Savonarola, nonché da vari e graduali cambiamenti sociali e politici della città. Negli anni Novanta però, prima della drammatizzazione savonaroliana del suo stile, l’artista eseguì altre opere che riflettono ancora le recenti suggestioni dell’arte romana nonché della pittura fiamminga, come nella Pala Nerli eseguita per la chiesa fiorentina di Santo Spirito. Nel 1496 gli fu commissionata dai monaci del convento di San Donato a Scopeti l’Adorazione dei magi, oggi agli Uffizi, in sostituzione di quella lasciata incompiuta da Leonardo da Vinci. Un’evidente spiritualità e una particolare austerità savonaroliana sono espresse invece dal San Giovanni Battista e dalla Maddalena oggi alla Galleria dell’Accademia di Firenze, e da un’altra opera dall’insolita ed enigmatica iconografia intitolata E prima vidit, dove il Cristo e la Madonna nella mattina di Pasqua ringraziano il Padre Eterno per la Resurrezione. Nel 1503 ricevette l’importante commissione per una Deposizione per la Santissima Annunziata di Firenze, che verrà poi terminata da Pietro Perugino nel 1507. Filippino fu un artista molto stimato e apprezzato dai suoi concittadini che lo tenevano in grande considerazione anche per le sue qualità umane di modestia e cortesia. Negli ultimi anni della sua vita aveva ricoperto, infatti, diverse cariche pubbliche onorifiche come quella di membro della commissione che doveva occuparsi del restauro della lanterna della cattedrale di Firenze, danneggiata da un fulmine (1498), oppure della famosa commissione che discusse la collocazione del David di Michelangelo proprio nel 1504, anno in cui Filippino morì a Firenze.
Filippino Lippi: le opere
Visione di san Bernardo
1480La pala, che si trova ancora nella chiesa fiorentina della Badia, venne eseguita per la cappella di Francesco del Pugliese nel convento della Campora a Marignolle dei monaci di Badia, su commissione del figlio Piero che, nel dipinto, è ritratto in basso a destra nella convenzionale posa del donatore a mani giunte. Al tempo dell’assedio di Firenze, nel 1529, l’opera era stata conservata nella sacrestia della Badia fiorentina e successivamente venne collocata in chiesa. Si tratta di uno dei quadri più famosi e ammirati di Filippino, soprattutto per la viva cromia di gusto fiammingo e la cura dei dettagli, che contribuiscono a trasformare l’atmosfera mistica dell’apparizione della Vergine a san Bernardo in una scena quotidiana e naturale. La composizione è ambientata in uno scenario roccioso e selvatico dove emerge lo splendido leggio naturalistico di san Bernardo, il quale solleva appena la penna dalle omelie che sta scrivendo in onore di Maria, che le appare improvvisamente di fronte. Qualche critico ha voluto riconoscere nella Vergine il ritratto della moglie del committente e negli angeli quelli dei suoi figli, ma, in realtà, risulta forse più interessante il dettaglio del demonio che, alle spalle del santo, sta mordendo le proprie catene. Un inno medievale narra infatti che Maria ha liberato l’umanità dalle catene dei suoi peccati. Il diavolo, dunque, senza speranza di liberazione, sfoga la sua rabbia. Interessante è anche il particolare del cartiglio sulla roccia che recita un verso di Epitteto, filosofo stoico del II secolo: “Sustine et abstine”, in sintonia con gli insegnamenti di san Bernardo.
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Tre arcangeli e Tobiolo
1485
olio su tavola; 100 x 127
Torino, Galleria SabaudaSullo sfondo di una natura rocciosa, simile a quella che si ritrova nell’Adorazione dei magi di Londra, avanzano i tre arcangeli: Michele, a sinistra, al centro Raffaele con il giovane Tobia e, a destra, Gabriele con il giglio in mano. Le quattro figure occupano tutto il primo piano della scena che appare semplice, essenziale, con pochi dettagli paesistici e chiaramente ispirata al Viaggio di Tobia attribuita al Botticini, già in Santo Spirito a Firenze e ora agli Uffizi. La grazia espressa dalle figure e dai loro panneggi leggeri e mossi risente dello stile del Botticelli, presso il quale Filippino aveva trascorso un periodo di apprendistato dal 1472. Al tempo stesso le figure degli angeli ricordano quella della Liberazione di san Pietro dal carcere realizzata da Filippino nella cappella Brancacci al Carmine, dove aveva portato a termine gli affreschi di Masaccio proprio in quegli stessi anni. L’opera, precedentemente attribuita a Sandro Botticelli o alla sua scuola, fu inclusa nel gruppo di opere del cosiddetto “Amico di Sandro” da Bernard Berenson, che con questa definizione aveva riunito alcune opere di Filippino assai affini a quelle di Botticelli. Decisamente assegnato a Filippino dal Gamba e poi dallo Scharf che lo collocò tra il 1480 e il 1485, il dipinto si trova nella Galleria Sabauda di Torino dal 1865 provenendo dalla proprietà Mannelli-Galilei di Firenze.
Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista, Vittore, Bernardo e Zanobi
1486Realizzata da Filippino come commissione pubblica per la sala degli Otto di Pratica nel palazzo della Signoria, è datata, secondo lo stile fiorentino (per cui l’anno aveva inizio il 25 marzo), “Anno Salutis MCCCCLXXXV die XX februari” che corrisponde, dunque, al 1486. L’opera aveva indubbiamente un ruolo celebrativo pubblico, vista la presenza dello scudo crociato in alto e dei quattro santi protettori di Firenze, disposti in coppie intorno allo splendido trono architettonico ove siede, incoronata da due angeli, la Madonna col Bambino. Questa figura, in particolare, secondo l’unanime parere della critica, è dipinta in uno stile leonardesco, soprattutto per il volto dagli occhi bassi che ricorda quello della Vergine dell’Adorazione dei magi (oggi agli Uffizi) che Leonardo avrebbe dovuto terminare per i monaci di Scopeto e che lasciò invece incompiuta. In origine si credeva addirittura che questo dipinto di Filippino fosse stato iniziato dallo stesso Leonardo, oppure, eseguito sulla base di un suo disegno. Nonostante l’immobilità apparente della scena, Filippino riesce a conferire dinamismo e ritmo attraverso gli abiti sontuosi, le pose e i gesti dei santi, particolarmente espressivi e proiettati quasi verso l’esterno dalla prospettiva irregolare e asimmetrica.
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San Filippo che scaccia il demonio dal tempio di Marte
1487-1502
affresco
Firenze, Santa Maria Novella, cappella StrozziLa scelta di rappresentare episodi della vita di san Filippo fu certamente motivata dalla volontà dell’omonimo committente Filippo Strozzi, il quale incaricò Filippino nel 1487 di affrescare la propria cappella nella chiesa fiorentina di Santa Maria Novella. Questa scena, in particolare, è raffigurata sulla parete destra ed è tratta dalla famosa Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine, che narra di come Filippo si fosse rifiutato di sacrificare all’idolo pagano di Marte e avesse scacciato il demonio apparso improvvisamente sotto forma di drago, uccidendo, con esalazioni venefiche, il figlio del gran sacerdote. Celebre è l’aneddoto raccontato dal Vasari a proposito delle capacità illusionistiche di Filippino, il quale era riuscito involontariamente - tramite la propria abilità pittorica - a ingannare uno dei suoi aiutanti che aveva cercato di nascondere un oggetto nella fessura dipinta sul gradino del tempio, ritenuta per sbaglio una reale apertura sulla parete. La scena, infatti, è particolarmente vivace e realistica, dove persino gli elementi architettonici sembrano animarsi e vivere di vita propria, come la stessa statua di Marte sul punto di scagliare un fulmine mentre accarezza un lupo (a lui sacro) come fosse un animale domestico. Filippino arricchisce la scena di dettagli antichi e decorazioni fantasiose di ispirazione classica, mentre i personaggi compiono gesti realistici ed espressivi, quasi teatrali, come, per esempio, il personaggio sull’estrema sinistra che si copre il naso per difendersi dalle esalazioni del drago o come il sacerdote di fronte al figlio morto. L’insieme, ricco di elementi realmente tratti dalla romanità, risulta decisamente anticlassico e bizzarro.
IconografiaSupplizio di san Giovanni evangelista
1487-1502Oltre che a san Filippo, la cappella di Filippo Strozzi nella chiesa fiorentina di Santa Maria Novella fu dedicata anche a san Giovanni evangelista, di cui Filippino illustrò due episodi della vita. In questa scena, che si trova dipinta sulla lunetta della parete di sinistra della cappella, vi è rappresentato il supplizio del santo tramandatoci dalla Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine, che racconta di come Giovanni, recatosi in Asia per predicare il verbo di Cristo ed edificare chiese, venne fatto prigioniero dall’imperatore Domiziano che lo condannò al supplizio di essere immerso in una caldaia di olio bollente, dalla quale il santo uscì miracolosamente illeso. Nell’affresco, Giovanni è dentro la pentola, in atteggiamento di preghiera, mentre i suoi aguzzini alimentano il fuoco per incitamento dell’imperatore che vediamo sulla sinistra. L’atmosfera che dovrebbe essere di intensa drammaticità possiede, invece, un carattere narrativo e quotidiano poiché mette in particolare evidenza la mimica e le espressioni dei singoli personaggi, nonché alcuni dettagli curiosi, come la decorazione del pentolone e del basamento della statua, la legna raggruppata sulla destra e il fascio che tiene in mano uno dei carnefici che cerca di ripararsi dal fumo che si solleva dalle fiamme. Questo modo originale di interpretare l’iconografia unito a una altissima qualità stilistico-formale, animata e preziosa, saranno sempre le cifre riconoscibili di Filippino, che lo renderanno unico tra i contemporanei.
IconografiaAnnunciazione con san Tommaso che presenta il cardinale Carafa alla Vergine
1488-1493La scena è rappresentata sulla parete di fondo della cappella Carafa a simulare una pala d’altare dipinta su tavola, realmente eseguita, però, ad affresco con una finta cornice in stucco, secondo un espediente che veniva usato spesso dai pittori fiorentini quattrocenteschi. Filippino aveva ottenuto l’incarico di affrescare la cappella di Oliviero Carafa nel 1488 attraverso la mediazione di Lorenzo il Magnifico che conosceva molto bene il cardinale napoletano. Questi, nell’opera, è rappresentato in ginocchio, a mani giunte con lo sguardo rivolto verso la Vergine assorta e bellissima e protetto dal rassicurante san Tommaso d’Aquino, il filosofo e teologo domenicano, che egli vantava come lontano parente. La scena dell’Annunciazione si svolge in un interno semplice ed elegante che rappresenta il palazzo del cardinale, come si intuisce dallo stemma nella volta e dai libri e dagli oggetti posti sullo scaffale. La caraffa di vetro, che simboleggia la trasparenza e la purezza, allude al suo cognome (Carafa), mentre il ramoscello d’olivo è un esplicito riferimento al nome di battesimo (Oliviero). La Vergine, alla quale è dedicata la cappella, mostra le fattezze del viso simili a quelle dell’Annunziata dipinta nel 1460 da Antoniazzo Romano per la stessa chiesa romana della Minerva.
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Madonna col Bambino, san Martino di Tours, santa Caterina d’Alessandria e i committenti
1490-1493
olio su tavola; 160 x 180
Firenze, chiesa di Santo SpiritoEseguito per la chiesa fiorentina di Santo Spirito, dove tuttora si trova, il dipinto è anche conosciuto come Pala de’ Nerli per il nome del committente Tanai de’ Nerli e la moglie Nanna, entrambi rappresentati nel quadro come donatori. Anche la presenza dei due santi è riconducibile alla volontà del committente, particolarmente devoto a santa Caterina, nome con cui chiamò la propria figlia, e membro della compagnia di San Martino de’ Buonomini, il che spiega la presenza dell’altro santo. Lo sfondo del quadro, con un loggiato che si apre su un paesaggio, deriva dalla pittura fiamminga ma si collega anche con lo stile architettonico della tarda romanità. Si scorge una veduta insolita di Firenze dove si può riconoscere la porta a San Frediano (anche se c’è chi la ritiene quella a San Niccolò) e l’antico palazzo de’ Nerli davanti al quale si svolge una scena familiare: il mercante Tanai de’ Nerli abbraccia la figlioletta mentre un servo accudisce il cavallo e la moglie sta sulla soglia di casa. Qualche critico ha visto in questa scena il ritorno di Tanai dalla Francia, avvenuto nel 1494, e ha preso a pretesto questo avvenimento come datazione per l’opera; molti altri, invece, propendono per una data successiva al soggiorno romano di Filippino del 1488, poiché troppe sono le suggestioni decorative del mondo classico che mostrano una conoscenza recente e diretta dell’arte romana, come, per esempio, il fregio dei pilastri del loggiato, la testa di capro angolare sul sedile della Vergine o il sottostante rilievo con la lotta dei tritoni, il tutto interpretato, però, con la solita e originale fantasia di Filippino.
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San Giovanni Battista
1494-1498
olio su tavola; 132 x 55
Firenze, Galleria dell’AccademiaLa tavola proviene, insieme a quella con la Maddalena, dalla cappella Valori nella chiesa fiorentina di San Procolo. Si è pensato che le due tavole fossero le parti laterali di un trittico insieme alla Crocifissione di Berlino, distrutta dai bombardamenti nel 1945, che doveva stare al centro. L’ipotesi è stata poi contestata, a causa del fondo oro della tavola perduta che mal si accordava con la nicchia architettonica che fa da sfondo alle due figure dei santi. L’immagine del san Giovanni, dall’aspetto emaciato e drammatico, sembra derivare direttamente dai dettami austeri e spirituali del frate Girolamo Savonarola che, tra il 1494 e il 1498, aveva condizionato tutta la vita sociale, politica e culturale della città di Firenze. Il committente del San Giovanni e della Maddalena (entrambi santi eremiti e solitari) fu Francesco Valori, uno dei più importanti sostenitori del Savonarola, la cui famiglia attraversò, dopo il 1498, difficili condizioni economiche. L’esecuzione dei dipinti si fa risalire, dunque, prima di questo momento, ma sempre nel pieno delle predicazioni del frate che nel 1498 fu condannato al rogo. L’atmosfera religiosa di quel periodo impressionò particolarmente Filippino, che riuscì a rendere sofferta e toccante la figura del santo, con un’espressione devota e un corpo sofferente nelle forme magre e ossute e nella cromia pallida e livida.
IconografiaMaddalena
1494-1498La figura della Maddalena è collegata strettamente con quella del San Giovanni Battista, poiché entrambe dipinte per la cappella di Francesco Valori nella chiesa di San Procolo a Firenze. Anche qui bisogna sottolineare l’ispirazione “piagnona” del dipinto, realizzato secondo i canoni di decoro e semplicità diffusi da Girolamo Savonarola durante le sue predicazioni fiorentine e certamente seguiti dal committente delle due tavole. Dell’immagine di Maddalena Filippino coglie, infatti, l’aspetto penitente e ascetico, mentre con la testa rivolta verso il basso e le braccia incrociate sul petto ella mostra il proprio corpo deperito e coperto dai lunghi capelli. L’austerità edificante di questa Maddalena richiama la medesima ispirazione drammatica della Comunione di santa Maria Maddalena dipinta da Antonio del Pollaiolo o, ancor di più, delle due sculture di Maddalena di Donatello e di Desiderio da Settignano. Tuttavia, seppure Filippino riesca perfettamente ad adattare il proprio stile vivace alle nuove correnti moralizzanti e spirituali, egli, allo stesso tempo e fino al 1503, continuerà a lavorare anche per committenti diversi come Alfonso Strozzi, acerrimo nemico del Savonarola, per cui portò a termine la famosa cappella in Santa Maria Novella. Dunque, la fase tarda di Filippino non potrà essere classificata soltanto come inquieta e savonaroliana. La sua capacità inventiva e il suo stile flessibile e anticonvenzionale mostra una personalità artistica al tempo stesso cortigiana e popolare, frivola e devota, estrosa e austera.
IconografiaAdorazione dei magi
1496Firmata e datata, la tavola fu eseguita per il convento di San Donato agli Scopeti, in sostituzione di quella commissionata a Leonardo nel 1481 ma da questi lasciata incompiuta. Rimasta lì sino al 1529, l’opera di Filippino entrò in possesso del cardinale Carlo de’ Medici e nel 1666 passò agli Uffizi. L’impostazione leonardesca dell’opera venne rispettata, almeno per la parte centrale, mentre la derivazione più evidente e diretta risulta quella dall’Adorazione dei magi di Botticelli del 1475, conservata anch’essa agli Uffizi. Molto simile è infatti la disposizione dei personaggi digradanti sui due lati, dove al centro la Sacra famiglia è posta in una posizione rialzata e circondata da quinte architettoniche. In entrambi i quadri sono, inoltre, rappresentati vari personaggi illustri, tra cui alcuni membri della famiglia Medici. La critica ha riconosciuto, nell’opera di Filippino, alcuni dei Medici “popolani”, ossia del ramo secondario della famiglia, che, per motivi politici, avevano aderito alla Repubblica savonaroliana: a sinistra Pier Francesco de’ Medici, inginocchiato con un quadrante in mano, e dietro di lui, in piedi, i suoi due figli Giovanni con un calice in mano e Lorenzo al quale un paggio toglie la corona; nel gruppo di destra, in piedi e in primo piano, è stato riconosciuto Piero del Pugliese. Lo stile generale dell’opera è quello della fase tarda di Filippino, caratterizzata da una particolare raffinatezza dei dettagli e da un ritmo nervoso e inquieto delle forme, in armonia con le influenze d’oltralpe tipiche della fine del Quattrocento e qui presenti anche nel bellissimo paesaggio dello sfondo.
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Nozze mistiche di santa Caterina
1503
olio su tavola; 202 x 172
Bologna, chiesa di San DomenicoIl dipinto, dalla cromia calda e luminosa, è firmato a destra e si trova nella cappella Isolani in San Domenico a Bologna, la chiesa dove riposano le spoglie del fondatore dell’ordine domenicano nella splendida arca scultorea. Intorno alla scena centrale del matrimonio mistico della santa Caterina d’Alessandria si svolge una Sacra conversazione a cui partecipano, sulla destra, i santi Paolo e Sebastiano (quest’ultimo segnalato dal Vasari come “cosa degna di molta lode”), e i santi Pietro e Giovanni Battista, sulla sinistra, mentre in posizione marginale e arretrata siede san Giuseppe. L’impostazione della scena è abbastanza classica - così come i volti e le pose dei personaggi - e la bizzarria decorativa di Filippino a stento si riconosce in qualche dettaglio come, per esempio, l’arpia scolpita sull’angolo del trono della Vergine o il frammento della ruota del martirio di Caterina che sembra precipitare fuori dal quadro in un ardito scorcio. Anche le forme architettoniche dello sfondo risultano più classiche e sobrie e il tipico paesaggio turrito è appena accennato. Sembra quasi che qui Filippino abbia voluto adattarsi alla compostezza dell’ambiente artistico bolognese presso il quale, infatti, l’opera riscosse un certo successo, come testimoniano due copie antiche del quadro: una nella Pinacoteca di Bologna e un’altra in collezione privata romana.
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Deposizione
1504 (terminata da Pietro Perugino nel 1507)
olio su tavola; 333 x 218
Firenze, Galleria dell’AccademiaSi tratta, probabilmente, dell’ultima opera di Filippino, dipinta per l’altare maggiore della Santissima Annunziata di Firenze e terminata da Pietro Perugino dopo la morte dell’artista, sopravvenuta nel 1504, come ricordano tutte le fonti, tra cui il Vasari. Fu allogata da fra’ Zaccaria servita, per 200 scudi d’oro, nel 1503, con l’impegno di essere consegnata per la Pentecoste del 1504. Osservando la tavola ci si può rendere conto di quale sia la parte realizzata dal Lippi e quale dal Perugino. Le figure della metà superiore della composizione, quelle in cima alla croce, con i volti espressivi e le vesti raffinate e mosse dal vento, si distinguono subito da quelle raffigurate in basso, pervase dall’immobile compostezza tipicamente peruginesca. Nonostante ciò, sappiamo che il Perugino ritoccò, alla fine, anche le figure realizzate dal Lippi, forse per uniformarle stilisticamente alle proprie. Una parte della critica ipotizza, per alcune figure della parte inferiore, l’intervento del giovane Raffaello, come per la Maddalena e il san Giovanni che, effettivamente sono di qualità più sostenuta rispetto al gruppo delle pie donne a sinistra. Per tutti questi interventi successivi è difficile dare un chiaro giudizio relativo all’invenzione di Filippino. Il corpo di Cristo sostenuto e calato giù dalla croce dal movimentato gruppo di figure sulle scale fornirà, però, un modello dinamico e originale per la successiva e allucinata Deposizione di Rosso Fiorentino del 1521.