Raffaello: biografia
Figlio del pittore e scrittore Giovanni Santi, acquisisce i primi rudimenti artistici nella bottega paterna. Uno dei suoi primi lavori è la pala della Resurrezione di Cristo oggi a San Paolo del Brasile. Nel 1499 si trasferisce a Città di Castello dove riceve il suo primo incarico da “maestro” insieme a Evangelista di Pian di Meleto: la pala con l’Incoronazione del beato Nicola da Tolentino (1500-1501). In questa cittadina Raffaello porterà a termine altri capolavori come la Crocifissione Gavari del 1502-1503 (Londra, National Gallery) e lo Sposalizio della Vergine del 1504 (Milano, Pinacoteca di Brera). Il suo stile si distacca ormai da quello del Perugino per avvicinarsi ai modi di Piero della Francesca e Leonardo. Realizza a Firenze alcuni ritratti connotati da una fine introspezione psicologica, come quelli di Maddalena e Agnolo Doni. Entro il 1506 porta a termine importanti dipinti come la Madonna del cardellino, oggi agli Uffizi. L’anno successivo esegue diverse opere, tra cui La bella giardiniera e la Pala Baglioni (Roma, Galleria Borghese). Nel 1508 dipinge la GrandeMadonna Cowper, ma non riesce a finire la Madonna del baldacchino perché è chiamato a Roma da Giulio II per decorare le stanze dei suoi nuovi appartamenti. Lavorerà agli affreschi della Stanza della Segnatura fino al 1511, realizzando la Disputa del Sacramento, la Scuola d’Atene, il Parnaso, le Virtù. Prosegue con le decorazioni della Stanza di Eliodoro. Agostino Chigi gli commissiona alcuni affreschi per la sua villa, la Farnesina (Trionfo di Galatea), e per la cappella in Santa Maria della Pace. Nel 1512 termina la Madonna di Foligno oggi alla Pinacoteca vaticana e gli affreschi con la Cacciata di Eliodoro e la Messa di Bolsena degli appartamenti papali. Dopo la morte di Giulio II (1513) Raffaello affida sempre più frequentemente l’esecuzione delle Stanze agli allievi; comincia a interessarsi all’architettura e lavora alla progettazione della cappella Chigi in Santa Maria del Popolo a Roma, che terminerà nel 1516. Affiancato a Bramante nella Fabbrica di San Pietro, dopo la sua morte (1514) è confermato architetto della basilica vaticana. Tra il 1514 e il 1515 dipinge il ritratto di Baldassar Castiglione, la Madonna della seggiola, la Madonna Sistina e l’Estasi di santa Cecilia. In questo periodo riceve anche la nomina a sovrintendente agli scavi e alle antichità. Completati i lavori nelle Stanze, affresca la Loggetta e la Stufetta del cardinal Bibbiena e la Loggia di Psiche alla Farnesina; inizia a decorare le Logge vaticane avvalendosi di aiuti; elabora un progetto, parzialmente realizzato, per Villa Madama. La sua ultima opera è la Trasfigurazione della Pinacoteca vaticana, dipinta per Giulio de’ Medici.
Raffaello: le opere
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San Sebastiano
1501-1502
olio su tavola; 43 x 34
Bergamo, Accademia CarraraSebastiano, soldato romano convertitosi al cristianesimo e per questo martirizzato, è raffigurato a mezzo busto sullo sfondo di un paesaggio, nell’atto di sorreggere una freccia, strumento del suo martirio. Le scarse notizie sull’opera non permettono d’avere informazioni riguardo la committenza, ma la singolare iconografia del santo sembrerebbe indicare una destinazione privata. La dipendenza di quest’opera giovanile dallo stile del maestro Pietro Vannucci detto il Perugino è evidente nell’addolcita e composta classicità della figura, nell’ovale del volto, nell’inclinazione della testa e nello sfondo paesaggistico; si rivela anche nella scelta iconografica che riprende una piccola tavola giovanile dello stesso Perugino.
IconografiaCristo benedicente
1502 circaIn questo dipinto di grande semplicità, caratterizzato da un forte spirito devozionale, Cristo con grande tristezza mostra le piaghe della crocifissione e nello stesso tempo benedice. Si tratta di un’opera di sintesi delle precedenti esperienze figurative, nella quale sono evidenti la ripresa delle figure peruginesche, l’attenzione alle atmosfere leonardesche, l’influsso della monumentalità e la nitidezza luministica di Piero della Francesca. Alcuni studiosi nell’atteggiamento del Cristo, con la testa inclinata e la mano alzata vedono anche una ripresa del Bacco di Michelangelo, che Raffaello vide a Roma presso il banchiere Jacopo Galli.
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Pala Colonna
1503-1505
olio su tavola; 169 x 169,5
New York, Metropolitan MuseumDenominata Pala Colonna dalla nobile famiglia romana che entrò in possesso della tavola centrale e della lunetta, l’opera fu poi ceduta al re di Spagna e infine nel 1901 fu acquistata da J.P. Morgan, che la lasciò al Metropolitan di New York. La pala è oggi smembrata fra vari musei: a New York si conservano solo la tavola centrale, la cimasa e un pannello della predella con l’Orazione nell’orto, mentre altri scomparti della predella sono custoditi alla College Gallery di Dulwich, a Boston e alla National Gallery di Londra. La pala fu commissionata dalle suore del convento di Sant’Antonio a Perugia ed ebbe una lunga elaborazione come dimostrano le differenze stilistiche esistenti tra la lunetta che mantiene ancora vivo l’influsso peruginesco e la tavola principale che denota la frequentazione dell’ambiente fiorentino, in particolare di Fra’ Bartolomeo.
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Il sogno del cavaliere
1504-1505
olio su tavola; 17 x 17
Londra, National GalleryIl tema iconografico del dipinto è tratto dal Somnium Scipionis di Macrobio, giunto alla cultura umanistica attraverso la versione poetica di Silio Italico ritrovata da Poggio Bracciolini nel 1417. Si tratta di un dipinto di carattere moraleggiante e filosofico, particolarmente adatto all’ambiente culturale raffinato dell’inizio del Cinquecento: in esso s’invita il giovane addormentato, Scipione l’africano, ad intraprendere la strada impervia della conoscenza e della Virtù, rappresentata da Pallade, la figura femminile a sinistra, e ad abbandonare quella più facile e pericolosa della lascivia, simboleggiata da Venere, a destra. La piccola tavola fu forse eseguita per il giovane Scipione di Tommaso Borghese, nato nel 1493, come esortazione alla pratica delle virtù.
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Sposalizio della Vergine
1504
olio su tavola; 174 x 121
Milano, Pinacoteca di BreraIl dipinto fu eseguito per la famiglia Albizzini per una cappella nella chiesa di San Francesco a Città di Castello: la firma e la data 1504 sono visibili sopra l’arco centrale del tempio. La tavola permette di capire la differenza tra Raffaello e Perugino; affinità tipologiche permettono di istituire un confronto con l’opera eseguita da Perugino per la Cappella Sistina, la Consegna delle chiavi a san Pietro: Raffaello ha un diverso modo di intendere la composizione e lo spazio, rendendo più armoniosa l’immagine del tempio e facendola divenire punto d’incontro delle linee prospettiche della figurazione. Mentre nel Perugino le figure e le architetture sono disposte per piani paralleli, qui le figure seguono una disposizione semicircolare, che si armonizza con la centina della tavola e con la cupola e la serrata circolarità del tempio: quest’ultimo si caratterizza per la sua modernità e ripropone tra l’altro progetti per tempietti a pianta centrale del Bramante, come quello di San Pietro in Montorio a Roma, realizzato intorno al 1502, due anni prima del dipinto di Raffaello.
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Pala Ansidei
1505 circa
olio su tavola; 238 x 156
Londra, National GalleryLa pala fu commissionata da Bernardino Ansidei per la cappella di famiglia in San Fiorenzo dei Serviti a Perugia. Rappresenta la Madonna leggente seduta in trono con il Bambino tra san Giovanni Battista e san Nicola da Bari. Sul bordo del mantello della Vergine si legge una data variamente interpretata come 1505, 1506 o 1507. La matrice peruginesca scompare grazie alla monumentalità dell’impianto: la limpidezza luministica e l’armonia che pervade la composizione trova confronti in grandi pale di ambito veneto.
Maddalena Doni
1505 circaIl ritratto di Maddalena, figlia di Giovanni Strozzi fu eseguito da Raffaello in occasione del matrimonio con Agnolo Doni, anche lui ritratto in un dipinto di uguali dimensioni. Le nozze furono celebrate nel 1504 e di conseguenza i due ritratti si collocano intorno a questa data. Sensibili sono le analogie del ritratto con la Gioconda di Leonardo, sia per la posa sia per l’ambientazione nel paesaggio. L’indagine radiografica suggerisce che in un primo tempo Raffaello aveva pensato di ambientare il ritratto in un interno, aperto sul paesaggio mediante una finestra. A differenza dei ritratti leonardeschi, più intimi, il ritratto ha un’impronta quasi ufficiale tesa a ribadire lo status sociale della gentildonna, che indossa abiti all’ultima moda realizzati con stoffe pregiate e preziosi gioielli.
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Madonna del cardellino
1505
olio su tavola; 107 x 77
Firenze, UffiziAccanto alla Madonna, seduta in un vasto paesaggio, con un libro in mano che la identifica come Sedes Sapientiae, sono San Giovannino e Gesù Bambino. I due fanciulli giocano con un cardellino, simbolo della Passione di Cristo. La tavola, destinata alla devozione privata, fu eseguita da Raffaello durante il soggiorno fiorentino, in occasione delle nozze del mercante Lorenzo Nasi e Alessandra Canigiani. Si trovava ancora in casa Nasi nel 1547, quando fu danneggiata e ridotta in diciassette pezzi dal crollo di un soffitto: fu restaurata in antico. Nel secolo successivo passò nella collezione del cardinale Carlo de’ Medici, nella quale è registrata nel 1666. Questa, come le altre Madonne del periodo fiorentino, nella costruzione piramidale e nell’uso del morbido sfumato risente dell’influsso di Leonardo, ma rivela stretti rapporti anche con la Madonna di Bruges di Michelangelo nella posa del Bambino tra le gambe della madre.
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Agnolo Doni
1505 circa
olio su tavola; 65 x 45,8
Firenze, Palazzo Pitti, Galleria PalatinaIl ritratto di Agnolo Doni fu realizzato insieme con quello della moglie Maddalena poco dopo le loro nozze, avvenute nel 1504. Il ricco mercante fiorentino era un aggiornato cultore d’arte e un raffinato collezionista e commissionò a Michelangelo, intorno al 1507, il dipinto raffigurante la Sacra Famiglia con san Giovannino meglio noto come Tondo Doni, oggi conservato agli Uffizi. I due ritratti dovevano costituire un dittico, ispirandosi ai ritratti dei coniugi da Montefeltro di Piero della Francesca, e la loro unità è sottolineata anche dalla medesima fonte di luce. Qui è però superata la rigidezza e arcaicità del ritratto di profilo pierfrancescano, a favore di una più libera e naturale impostazione spaziale, che deriva dai modelli fiamminghi e fiorentini, in particolare leonardeschi, conosciuti da Raffaello in questi anni.
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Dama con il liocorno
1505-1506
olio su tavola trasportato su tela; 65 x 51
Roma, Galleria BorgheseIl bellissimo ritratto fu eseguito da Raffaello nel periodo fiorentino, come dimostra l’affinità stilistica e di impianto con i ritratti dei coniugi Doni. Non si possiedono dati per arrivare all’identificazione della gentildonna ritratta, ma la presenza del liocorno, animale fantastico che nei bestiari medievali era ritenuto simbolo di castità, indica una committenza in occasione delle nozze della giovane. Una storia molto curiosa interessa questo dipinto: per secoli, a causa di una ridipintura che copriva il liocorno, la figura fu identificata con santa Caterina d’Alessandria e attribuita al Perugino, fino al 1935, quando una radiografia ha scoperto la presenza dell’animale, al posto della ruota della santa. Una volta restaurato il ritratto ha rivelato l’inconfondibile mano di Raffaello.
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San Michele uccide il demonio
1505
olio su tavola; 31 x 27
Parigi, LouvreLa critica è concorde nel pensare che la tavoletta dovesse costituire uno degli sportelli di un dittico completato dalla tavola con San Giorgio e il drago, anch’essa conservata al Louvre, d’identiche misure. Il dittico fu presumibilmente commissionato a Raffaello da Giovanna Feltria della Rovere per celebrare il conferimento dell’Ordine di San Michele al marito, Giovanni della Rovere, e dell’Ordine della Giarrettiera al fratello Guidubaldo da Montefeltro. L’episodio è tratto dall’Apocalisse di san Giovanni e raffigura l’arcangelo Michele che uccide il demonio nelle spoglie del drago. Raffaello, con la vastità della sua cultura figurativa, arricchisce però la narrazione con elementi diversi. Da una parte troviamo motivi desunti dalla tradizione nordica come i mostri in secondo piano che ricordano quelli dipinti da Bosch, dall’altra trae ispirazione dalla narrazione dantesca dell’inferno con la rappresentazione delle figure dei dannati sul fondo.
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Madonna del granduca
1506
olio su tavola; 84 x 55
Firenze, Palazzo Pitti, Galleria PalatinaIl dipinto è così denominato perché fu acquistato dal granduca di Toscana Ferdinando III nel 1799, per la sua camera da letto. Tra le numerose tavole di Raffaello dedicate al tema, questa è senza dubbio la più essenziale e rappresenta la Madonna in piedi, a tre quarti di figura, con il corpo leggermente ruotato a destra, con il Bambino in braccio, che a sua volta ha un movimento opposto in modo da bilanciare la composizione. L’immagine si staglia su un fondo scuro, probabilmente aggiunto nel Seicento, ma l’indagine radiografica ha dimostrato che dietro le due figure c’era una finestra aperta su un paesaggio: questa scoperta, unita alle reminiscenze leonardesche, consente di postdatare il dipinto intorno al 1506, rispetto al 1504 proposto dalla critica prima della scoperta.
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Madonna del prato
1506
olio su tavola ; 113 x 88
Vienna, Kunsthistorisches MuseumIl dipinto fu realizzato da Raffaello per Taddeo Taddei durante il soggiorno fiorentino e reca la data 1506 dipinta sul bordo dello scollo della Vergine. Passata a Ferdinando d’Austria, nel Settecento fu a lungo esposta nel palazzo del Belvedere a Vienna e da qui deriva l'altro nome con cui è conosciuta l'opera, Madonna del Belvedere. Nell’impostazione piramidale, nell’affettuoso scambio di sguardi che intercorre tra la Madonna e i due bambini, nel delicato e morbido sfumato è evidente l’influsso di Leonardo.
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Sacra famiglia dei Canigiani
1507-1508
olio su tavola; 131 x 107
Monaco, Alte PinakothekProveniente dalla famiglia Canigiani il dipinto entrò a far parte delle collezioni medicee e fu portato in Germania da Anna Maria Luisa de’ Medici andando sposa all’elettore palatino. La tavola si data tra il 1507 e il 1508, in una data prossima alla Deposizione Baglioni. La struttura compositiva piramidale è ripresa da dipinti di Leonardo, ma si complica nell’intreccio delle figure, degli sguardi e dei moti affettivi. Nelle figure del san Giuseppe e di sant’Anna sono evidenti motivi michelangioleschi.
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Pala Baglioni
1507
olio su tavola; 184 x 176
Roma, Galleria BorgheseIn basso a sinistra si legge la firma e la data 1507, che indica presumibilmente l’epoca della commissione di questo dipinto da parte della nobildonna perugina Atalanta Baglioni, in memoria del figlio Grifonetto morto sette anni prima. La tradizione vuole che Grifonetto sia stato ritratto nel trasportatore a destra che a differenza del disegno preparatorio è raffigurato come giovane. Stilisticamente la tavola rivela l’influsso della pittura di Michelangelo, in particolare del Tondo Doni, evidente nella figura femminile che sorregge la Vergine svenuta che ripropone la posa avvitata della Madonna del Tondo michelangiolesco. La tavola fu collocata nella cappella Baglioni in San Francesco al Prato a Perugia dove rimase fino al 1608, quando il cardinale Scipione Borghese la volle nella sua raccolta.
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Madonna del baldacchino
entro il 1508
olio su tavola; 276 x 224
Firenze, Palazzo Pitti, Galleria PalatinaLa Madonna col Bambino in trono tra santi, detta Madonna del baldacchino, fu realizzata da Raffaello per la cappella delle famiglia Dei in Santo Spirito nell’ultimo periodo del suo soggiorno fiorentino e rimase incompiuta per la partenza dell’urbinate per Roma, nel 1508. Fin dal Cinquecento si trovava nella pieve di Pescia dalla quale la fece rimuovere, affascinato dalla bellezza dell’opera, il gran principe Ferdinando de’ Medici che la volle a Firenze nella quadreria granducale. Composizione molto complessa, alla quale collaborarono anche gli allievi, la pala reinterpreta in termini moderni le pale d’altare tardoquattrocentesche venete e quella di Piero della Francesca conservata a Brera. Possiede un impianto monumentale che influì sull’opera del fiorentino e già affermato Fra’ Bartolomeo, che lo riprese nelle sue grandi pale successive, tra cui si ricorda lo Sposalizio di santa Caterina, eseguito nel 1512.
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Madonna d’Alba
1511
olio su tavola trasportato su tela; diam. 95
Washington, National Gallery of ArtIl dipinto fu eseguito nel 1511 da Raffaello su commissione dell’amico e coetaneo Paolo Giovio. E’ denominato Madonna d’Alba perché alla fine del Settecento entrò a far parte delle collezioni del duca d’Alba in Spagna. L’opera, realizzata su una tavola rotonda, nel 1837 fu trasferita su una tela per motivi di conservazione. Stilisticamente la Madonna d’Alba evidenzia reminiscenze dal Tondo Pitti e dal Tondo Taddei, i due rilievi scolpiti da Michelangelo che Raffaello conobbe durante il suo soggiorno fiorentino: da questi sembra derivare il dinamismo delle linee compositive che generano un movimento elicoidale. Nella figura della Vergine si riscontra anche l’influsso di alcune figure delle Sibille della michelangiolesca Cappella Sistina, delle quali riprende il copricapo a turbante.
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Trionfo di Galatea
1511
affresco; 295 x 225
Roma, Villa della FarnesinaL’affresco fu eseguito da Raffaello in una stanza della villa del banchiere del pontefice, il senese Agostino Chigi, conosciuta col nome di Farnesina, dalla famiglia Farnese che in seguito la acquistò. Il soggetto è desunto dalla favola di Teocrito e di Ovidio, ripresa nel tardo Quattrocento dall’umanista fiorentino Poliziano e si completa con un affresco eseguito da Sebastiano del Piombo, sulla stessa parete, dove è raffigurato Polifemo, infelicemente innamorato della Nereide, la quale ama invece Aci, che viene trasformato in una fresca sorgente per sottrarsi all’invidia del gigante. Della tragedia amorosa non trapela niente nella radiosa e classica raffigurazione raffaellesca della ninfa che, tra le altre creature marine, cavalca le onde su una conchiglia: essa racchiude un significato piuttosto morale e la Galatea, che guarda verso l’alto, rappresenta l’amore platonico in contrapposizione all’amore terreno dei tritoni e delle ninfe che la circondano.
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Madonna della seggiola
1514
olio su tavola; diam. 71
Firenze, Palazzo Pitti, Galleria PalatinaL’opera, tra le più conosciute e riprodotte di tutta la storia dell’arte, nota con il nome di Madonna della seggiola, raffigura la Madonna col Bambino e san Giovannino. La composizione serratissima asseconda la circolarità della tavola, attraverso l’inclinarsi della testa della Vergine, l’andamento curvilineo del braccio e il sovrapporsi dei piedini del Bambino. Quest’opera, altissima per qualità, affascina soprattutto per la semplicità e per il senso di intimità e quotidianità da cui è caratterizzata: la Vergine è raffigurata in vesti dimesse, con un asciugatoio che le avvolge il capo e uno scialle verde che le avvolge le spalle. L’umanissimo riferimento alla maternità può nascondere un significato più alto e alludere all’identificazione tra Madre-Chiesa.
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La velata
1514-1515
olio su tela; 82 x 60.5
Firenze, Galleria PalatinaSecondo la testimonianza del Vasari, il ritratto raffigura Margherita Luti, la donna amata da Raffaello, più nota come la Fornarina, la quale fece da modella anche per la Madonna Sistina. Il ritratto già nel Cinquecento si trovava a Firenze nella casa del ricco mercante Matteo Botti e in casa Botti rimase fino al 1615 quando passò alle collezioni medicee. Il ritratto è conosciuto come la Velata, a causa del manto che copre la testa della giovane donna. Scompare ogni notazione di carattere paesaggistico e l’attenzione si focalizza sulla figura umana e sulla descrizione minuziosa della ricchissima veste.
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Estasi di santa Cecilia
1514
olio su tavola trasportato su tela; 238 x 150
Bologna, Pinacoteca NazionaleLa pala fu dipinta per la cappella di Elena Duglioli dall’Olio in San Giovanni in Monte a Bologna. Anche in questo caso Raffaello è un grande interprete di un tema iconografico che avrà grande fortuna nel secolo successivo, quello dell’estasi, ossia dell’”effetto” che il contatto con il divino provoca nell’animo del santo. Nel dipinto non viene rappresentata la divinità ma cinque santi che interiorizzano, ciascuno secondo il proprio carattere, la propria esperienza mistica. Santa Cecilia volge lo sguardo al coro angelico, rapita dalla visione mistica: di fronte a questa musica celestiale e divina Cecilia, che era musicista, si rende conto dell’inutilità della musica terrena e getta a terra i suoi strumenti musicali. Magnifica la natura morta di strumenti in primo piano realizzata forse da un allievo di Raffaello, Giovanni da Udine, specializzato nel genere.
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Leone X con due cardinali
1516-1518
olio su tavola; 155.2 x 118.9
Firenze, Galleria PalatinaIl dipinto raffigurante Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, fu commissionato a Raffaello per rappresentare in effigie il pontefice che non era potuto intervenire alle nozze del nipote Lorenzo de’ Medici con Maddalena de la Tour d’Auvergne. Leone X, appassionato bibliofilo, si fece ritrarre seduto di fronte a un pregiato codice miniato. Si tratta di un capolavoro di grande virtuosismo tecnico: basta osservare la minuzia alla fiamminga con la quale Raffaello ritrae le miniature nel libro, il campanello, la lente, gli effetti serici delle vesti e il pomello di metallo della sedia, sul quale si riflette una finestra. Ma Raffaello dimostra in questo caso una straordinaria capacità di introspezione psicologica, ritraendo il pontefice, assorto e sfuggente, nel momento in cui sospende l’osservazione del codice.
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Doppio ritratto
1518-1519
olio su tela; 99 x 83
Parigi, LouvreNel doppio ritratto il personaggio sul fondo con lo sguardo rivolto verso lo spettatore è Raffaello, mentre ci sono diverse proposte per l’identificazione dell’uomo raffigurato in primo piano, che si volge con gli occhi al maestro e indica con la mano qualcuno fuori del quadro. Sicuramente deve trattarsi di una persona vicina a Raffaello, che appoggia amichevolmente la mano sulla sua spalla: si è pensato a un allievo, ma anche al maestro di scherma dell’urbinate, per la presenza dell’elsa di una spada in primo piano, e all’amico Giovanni Battista Branconio: questi da Raffaello si fece costruire il palazzo romano, vicinissimo a San Pietro, intorno al 1518 che sembra la data probabile del ritratto.
Archivio Giunti/Foto Nicola Grifoni, Firenze
La fornarina
1518-1519
olio su tavola; 85 x 60
Roma, Palazzo Barberini, Galleria nazionale d’arte anticaIl sensuale ritratto di giovane donna è universalmente noto come la Fornarina, identificazione del resto confermata dalla forte somiglianza con il ritratto della Velata e con i volti di alcune Madonne e sante per le quali la donna fece da modella. Margherita Luti fu così soprannominata per essere la figlia di un fornaio senese che esercitava nella contrada di Santa Dorotea a Roma, la stessa dove sembra abitasse l’artista. Fu talmente amata da Raffaello, da distoglierlo talvolta dal lavoro: il Vasari narra che Agostino Chigi dovette ospitarla nella villa alla Longara per fare in modo che l’artista ultimasse i cartoni della Loggia di Psiche. Qui Margherita, con un copricapo all’orientale, si mostra nell’atto di coprire il seno con un gesto che in realtà lo offre, e porta un bracciale recante la firma dell’artista.