Pietro da Cortona: biografia
Nato a Cortona nel novembre 1596, Pietro Berrettini proviene da una famiglia di scalpellini e muratori. Svolge il suo primo apprendistato presso Andrea Commodi, che lavora a Cortona dal 1609 al 1612, e probabilmente accompagna il maestro a Roma, dove questi rimane dal 1612 al 1614. La prima decorazione importante del Cortona sono gli affreschi del 1616 a villa Arrigoni-Muti a Frascati. A Roma il giovane entra in contatto con le famiglie più influenti, come i Barberini e i Sacchetti. Nel 1624 inizia gli affreschi per la chiesa di Santa Bibiana, commissionati da Urbano VIII. Dopo aver eseguito il Ritratto del cardinale Giulio Sacchetti, nel 1626, il Cortona riceve dal prelato la commissione della decorazione del casale di Castel Fusano. Fra il 1628 e il 1631 dipinge il Ratto delle Sabine per Marcello Sacchetti e la Trinità per la cappella del Sacramento in San Pietro, divenendo una delle personalità emergenti del panorama romano. A partire dall’inizio del quarto decennio il Cortona lavora in diverse occasioni per la famiglia Barberini, nella cappella del palazzo e per l’arazzeria. Dal 1632 al 1639 l’artista è impegnato, con alcune interruzioni, nel ciclo di affreschi del salone Barberini. Nel 1637 accompagna Giulio Sacchetti a Bologna, e si ferma a Firenze dove è incaricato da Ferdinando II de’ Medici di decorare ad affresco la sala della Stufa in palazzo Pitti. Dopo un breve viaggio a Venezia, Pietro da Cortona fa rientro a Roma dove riprende a lavorare per i Barberini. Nella primavera del 1641 il pittore torna di nuovo a Firenze dove si trattiene fino al 1647, ultimando la sala della Stufa e dipingendo nelle sale Planetarie. Durante il suo soggiorno fiorentino affresca la sala di Venere, la sala di Giove e la sala di Marte ed esegue in parte la sala di Apollo, terminata successivamente da Ciro Ferri. Mentre è impegnato per conto di Ferdinando II nell’importante decorazione di palazzo Pitti, il Cortona viene coinvolto anche in una serie di altre imprese. Tra queste l’esecuzione della Natività per la Chiesa Nuova di Perugia (1643) e il Martirio di san Lorenzo per la chiesa romana di San Lorenzo in Miranda (1647). Rientrato definitivamente a Roma nel 1647, si occupa di grandi cicli pittorici e di progetti architettonici, tra cui gli affreschi nella cupola di Santa Maria in Vallicella (1648-1660), la galleria di palazzo Pamphili in piazza Navona (1651-1654), la piazza e la facciata di Santa Maria della Pace (1656-1657) e la facciata di Santa Maria in via Lata (1658-1662). Nel 1652 pubblica insieme al padre gesuita Ottonelli il Trattato della Pittura e Scultura. L’artista prosegue la sua attività pittorica dipingendo soprattutto pale d’altare non solo per Roma ma anche per Venezia e Pistoia. Pietro da Cortona, malato di podagra, muore il 16 maggio 1669.
Pietro da Cortona: le opere
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Trionfo di Bacco
anteriore al 1624
olio su tela; 144 x 207
Roma, Pinacoteca capitolinaIl dipinto è citato nelle due versioni della vita di Pietro da Cortona da Giulio Mancini, ed è considerato dal Passeri come il primo dipinto eseguito per la famiglia Sacchetti, gli iniziali protettori romani del pittore. Negli inventari Sacchetti sono registrate due tele dallo stesso soggetto, la presente e un dipinto passato in Francia al tempo di Mazzarino. Le recenti analisi diagnostiche, che non hanno rilevato pentimenti e hanno messo il rilievo la nitidezza disegnativa della composizione, fanno propendere per l’identificazione, nella tela capitolina, di una copia autografa, replica del dipinto passato in Francia. Dal punto di vista compositivo, importante è la meditazione sui Baccanali di Tiziano, dal secolo precedente a Roma, nella collezione Aldobrandini, soprattutto per la scelta del tema e per la spiccata vivacità cromatica. Pietro da Cortona guarda anche agli affreschi della Galleria Farnese, e a quelli di Reni in San Gregorio al Celio. Il motivo del bambino che mangia l’uva tornerà anche nell’affresco dell’Età dell’argento in Palazzo Pitti.
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Marcello Sacchetti
1626 circa
olio su tela; 133 x 99
Roma, galleria BorgheseIl quadro è probabilmente da identificare con uno dei sette ritratti di personaggi della casa Sacchetti ritratti dal Berrettini e ricordati nell’inventario della famiglia nel 1639. L’effigiato è Marcello Sacchetti, uomo d’affari e banchiere, primo maschio superstite del ramo romano dell’importante famiglia fiorentina. Egli aveva ottenuto nel 1623, grazie al sodalizio con Maffeo Barberini, la carica di depositario generale e tesoriere segreto della Camera apostolica. Primo committente romano di Pietro, egli commissionò direttamente il dipinto, che è testimoniato in collezione Borghese solo nel 1833.
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Volta del salone di palazzo Barberini (Trionfo della Divina Provvidenza)
1632-1639
affresco
Roma, Palazzo Barberini, saloneOrmai pienamente apprezzato a Roma, a Pietro da Cortona fu affidato l’incarico di affrescare la volta del salone di Palazzo Barberini, per il quale era stato inizialmente avanzato il nome di Andrea Camassei. Il pittore toscano cominciò l’impresa tra la fine del 1632 e l’inizio del 1633. Il lavoro, lungo e problematico, anche per le interruzioni dovute agli spostamenti del pittore, si concluse solo alla fine del 1639. Il complicato soggetto della volta fu ideato dall’erudito Francesco Bracciolini, esponente della cerchia barberiniana e raffigura Il Trionfo della Divina Provvidenza e il compimento dei suoi fini attraverso il potere spirituale e temporale del papato al tempo di Urbano VIII. Circondato da allegorie celesti ed episodi mitologici, il centro della composizione è rappresentato dall’apoteosi della Provvidenza, in coincidenza con quella del pontefice e della sua famiglia. La vasta superficie del dipinto (ben 600 metri quadrati) è divisa in cinque diverse zone corrispondenti alle cinque parti del cielo, da una finta cornice architettonica, al di là della quale si staglia il cielo aperto. Pietro vi celebra il pontificato Barberini attraverso l’emblema di famiglia: le api coronate d’alloro.
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Trionfo della Divina Provvidenza
1632-1639
affresco
Roma, Palazzo Barberini, saloneLa volta del salone di Palazzo Barberini fu eseguita da Pietro da Cortona tra il 1632 e il 1639, in base al dotto programma iconografico ideato dall’erudito Francesco Bracciolini. La composizione appare divisa in cinque zone da una finta cornice architettonica, corrispondenti alle cinque parti del cielo, e nelle quattro finestre che vengono a formarsi tra le quattro trabeazioni angolari e la cornice superiore appaiono allegorie e scene mitologiche. Nel grande vano centrale appare, in posizione preminente, la personificazione della Divina Provvidenza, circondata dalle personificazioni della Giustizia, Pietà, Sapienza, Potenza, Verità, Bellezza e Pudicizia. Più in basso appare il Tempo che addenta un puttino, accompagnato dalle tre Parche, mentre in alto a sinistra, l’Immortalità porge una corona di stelle. Nella parte superiore del riquadro, infine, le tre Virtù teologali, Fede, Speranza e Carità, reggono una grande corona d’alloro, all’interno della quale campeggiano le grandi e dorate api barberiniane e sopra la quale la personificazione della città di Roma regge il triregno pontificio, mentre al di sotto la Gloria intreccia le chiavi.
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La Sapienza e la Pietà
1632-1639
affresco
Roma, Palazzo Barberini, saloneIl particolare della volta del salone di Palazzo Barberini, eseguita da Pietro da Cortona tra il 1632 e il 1639 in base al dotto programma iconografico ideato dall’erudito Francesco Bracciolini, mostra le personificazioni della Sapienza e della Pietà. La volta appare infatti divisa da una finta cornice architettonica in cinque zone, corrispondenti alle cinque parti del cielo, e nelle quattro finestre che vengono a formarsi tra le quattro trabeazioni angolari e la cornice superiore appaiono allegorie e scene mitologiche. Nella presente scena, la Sapienza, una giovane donna con il libro e la lampada, che allude al pontefice Urbano VIII, offre i suoi attributi al cielo, accompagnata dalla Pietà, senza la quale ogni erudizione appare vana.
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Ercole scaccia le arpie
1632-1639
affresco
Roma, Palazzo Barberini, saloneLa volta del salone di Palazzo Barberini fu eseguita da Pietro da Cortona tra il 1632 e il 1639, in base al dotto programma iconografico ideato dall’erudito Francesco Bracciolini. La volta appare divisa da una finta cornice architettonica in cinque zone, corrispondenti alle cinque parti del cielo, e nelle quattro finestre che vengono a formarsi tra le quattro trabeazioni angolari e la cornice superiore appaiono allegorie e scene mitologiche. In uno dei vani minori, Ercole, dopo aver ucciso una delle arpie, scaccia le sue compagne con la clava. La scena allude a Taddeo Barberini, prefetto di Roma, il cui compito era quello di tener lontani i vizi dalla città.
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Minerva scaccia i giganti
1632-1639
affresco
Roma, Palazzo Barberini, saloneLa volta del salone di Palazzo Barberini fu eseguita da Pietro da Cortona tra il 1632 e il 1639, in base al dotto programma iconografico ideato dall’erudito Francesco Bracciolini. La composizione appare divisa da una finta cornice architettonica in cinque zone, corrispondenti alle cinque parti del cielo, e nelle quattro finestre che vengono a formarsi tra le quattro trabeazioni angolari e la cornice superiore appaiono allegorie e scene mitologiche. Nell’ultimo vano appare Minerva, nell’atto di volare, mentre al di sotto appaiono gli sconfitti Giganti aggrovigliati l’uno all’altro. La scena allude alla vittoria dell’intelligenza sulla forza bruta.
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Età dell'oro
1637
affresco
Firenze, Palazzo Pitti, Sala della StufaGiunto a Firenze nel 1637 al seguito del cardinale Giulio Sacchetti, nominato legato pontificio a Bologna, Pietro da Cortona fu invitato dal granduca Ferdinando a fermarsi nella città per condurre la decorazione della Sala della Stufa in Palazzo Pitti. Il soggetto dell’affresco Le quattro età dell’uomo, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, fu suggerito al pittore da Michelangelo Buonarroti il giovane. Gli affreschi furono eseguiti dal pittore in due momenti successivi: l’Età dell’oro e l’Età dell’argento furono terminati nell’estate del 1637, mentre le due rimanenti scene furono dipinte nel 1641, al ritorno a Firenze di Pietro. Le Età sono disposte su tre pareti della piccola sala, e ognuna appare circondata da una cornice dipinta decorata con festoni. Le prime due scene appaiono sulla parete nord e formano una composizione pressoché ininterrotta. L’Età dell’oro mostra una scena di serena armonia, con giovani e fanciulli adorni di fiori che convivono pacificamente con diversi animali.
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Ritorno di Agar da Abramo
1637
olio su tela; 123 x 99
Vienna, Kunsthistorisches MuseumIl dipinto, variamente datato al primo (1637) o al secondo (1641) soggiorno fiorentino del pittore, mostra, in una composizione personale e innovativa, il momento in cui la giovane Agar, consigliata dall’angelo, fa ritorno da Abramo. La storia è tratta dal Vecchio Testamento (Genesi, 16): Abramo, non potendo avere figli dall’anziana moglie Sara, si congiunge alla serva egiziana Agar, che viene in seguito allontanata con il bambino. Nel deserto, ella riceve la visita dell’angelo che la invita a tornare indietro. Pietro da Cortona unisce i due momenti dell’annuncio dell’angelo ad Agar e del ritorno da Abramo, in un’armonica fusione di storia e natura. L’esecuzione del dipinto, ancora vicina alla produzione giovanile del pittore, ha fatto propendere per una datazione al primo periodo fiorentino.
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Trinità in gloria e profeti
1648-1651
affresco
Roma, Santa Maria in Vallicella, cupolaGli interventi di Pietro da Cortona per la chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma si scaglionarono per circa trent’anni, tra il 1633 e il 1655, testimoniando sia l’evoluzione dell’arte del pittore, sia lo stretto rapporto che lo legò con gli oratoriani sin dal suo arrivo a Roma. L’incarico di dipingere la cupola gli arrivò nel 1646, mentre si trovava a Firenze, al servizio di Ferdinando II. I lavori cominciarono solo nel 1648 e terminarono nel 1651, quando la cupola fu scoperta in occasione della festa di san Filippo Neri. I Profeti dei pennacchi furono invece terminati tra il 1659 e il 1660. La decorazione, che rappresenta la Trinità in gloria, è debitrice degli affreschi di Lanfranco condotti nella vicina chiesa di Sant’Andrea della Valle. Sul bordo della cupola appaiono Dio Padre e Gesù Cristo, circondati da cori angelici e da personaggi del Vecchio Testamento, mentre nella lanterna in alto, appare la colomba dello Spirito Santo. Nei pennacchi appaiono Geremia, Ezechiele, Isaia e Daniele. Al cantiere partecipò il giovanissimo Ciro Ferri, l’allievo più fedele del Berrettini.
Visione di san Filippo Neri
1664-1665Gli interventi di Pietro da Cortona per la Chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma si scaglionarono per circa trent’anni, tra il 1633 e il 1655, testimoniando sia l’evoluzione dell’arte del pittore, sia lo stretto rapporto che lo legò con gli oratoriani sin dal suo arrivo a Roma. L’affresco della volta della navata, teso a glorificare il fondatore dell’ordine degli oratoriani, condotto tra il 1664 e il 1665, raffigura San Filippo Neri e il miracolo della trave. Il fatto è narrato da Giacomo Bacci, e si riferisce alla visione notturna del santo nel periodo in cui si ricostruiva la chiesa, dell’intervento miracoloso della Vergine, giunta a sorreggere il pericolante soffitto ligneo della vecchia cappella, salvando così dalla distruzione l’immagine della Madonna Vellicelliana e il Santissimo Sacramento. Celebrando l’attività di san Filippo, Pietro dà alla composizione un tono più realistico e narrativo, privo degli effetti illusionistici impiegati nella cupola e nell’abside.
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San Carlo porta in processione il santo chiodo per la cessazione della peste
1667
olio su tela
Roma, San Carlo ai CatinariIl Félibien ricorda un “concorso” per la pala dell’altare maggiore della chiesa dei padri barnabiti di San Carlo ai Catinari, tra Pietro da Cortona e Pierre Mignard, che si concluse a scapito del pittore francese. Il dipinto raffigura La processione di san Carlo Borromeo con il santo chiodo, avvenuta in occasione della peste milanese del 1576, evento divenuto popolare a Roma in seguito al contagio del 1656. Sotto un grande baldacchino, appare san Carlo Borromeo, in abiti pontificali, che porta in processione la preziosa reliquia donata ai milanesi da Teodosio. Recenti studi suggeriscono l’anticipazione della datazione tradizionale (1667) di circa dieci anni, ponendo il dipinto in connessione con i lavori della tribuna di Santa Maria in Vallicella.
Iconografia