Botticelli: biografia
Alessandro Filipepi eredita il soprannome secondo alcuni dal fratello Giovanni che per la sua grassezza era detto “botticella”; secondo Vasari da tal “Botticello”, orefice; secondo altri all’attività del fratello Antonio, che fu battiloro e battiargento, ovvero “battigello”. Figlio di un conciatore di pelli, inizia il suo apprendistato come orafo per poi passare nel 1464 alla bottega di Filippo Lippi. Nel 1467 diventa allievo del Verrocchio. Dai due maestri eredita da un lato i delicati colori e le linee dolci, dall’altro la plasticità delle figure. Intorno al 1470 si mette in proprio e, nel 1472, si iscrive alla compagnia degli artisti di San Luca. In questo periodo comincia a ricevere importanti commissioni e mette a punto fondamentali esperienze nel campo della pittura storico-religiosa (Dittico di Giuditta, 1469-1470 circa) e del ritratto (Ritratto d’uomo con una medaglia di Cosimo il Vecchio, 1474-1475 circa). Dal 1475 inizia a lavorare per i Medici, frequentando la corte e i più illustri personaggi dell’epoca. Realizza opere di straordinario equilibrio formale (Adorazione dei magi, 1475 circa; Madonna del libro, 1480 circa; Madonna del Magnificat, 1480-1481 circa; La Primavera, 1482 circa; La nascita di Venere, 1484-1486 circa), portando lo stile lineare fiorentino dei suoi maestri al massimo splendore. Nel 1481 è chiamato a Roma da papa Sisto IV che gli commissiona tre affreschi per la cappella Sistina. Rientra a Firenze l’anno successivo. La sua fama è ormai consolidata e, nel 1491, Lorenzo de’ Medici gli chiede di esaminare i progetti del concorso per la facciata del duomo di Firenze insieme a Lorenzo di Credi, Ghirlandaio, Perugino e Alessio Baldovinetti. La crisi politica a Firenze con la conseguente cacciata dei Medici e le predicazioni di Savonarola portano al progressivo incrinarsi delle certezze umanistiche e la pittura di Botticelli mostra tensioni sempre più marcate. Le opere degli anni Novanta assumono toni drammatici (Compianto sul Cristo morto di Milano, 1492-1495 circa), di forte coinvolgimento emotivo. Alla morte di Savonarola l’artista, che aveva abbracciato le idee moralizzatrici del frate, si rifugia nel misticismo e produce opere caratterizzate da una simbologia religiosa sempre più complessa (Crocifissione mistica di Cambridge, 1497 circa; Natività mistica di Londra, 1501 circa). L’evoluzione artistica di Botticelli, così legata alla situazione politica e religiosa fiorentina, segna il passaggio drammatico dal periodo aureo dell’umanesimo alle inquietudini del nuovo secolo.
Botticelli: le opere
Madonna col Bambino e san Giovannino
1468 circaIl dipinto è noto anche con il titolo di Madonna del roseto e fa parte della vasta produzione devozionale dell’attività giovanile del pittore. Qui Botticelli risente ancora degli influssi del carmelitano Filippo Lippi, nella cui bottega aveva fatto pratica tra il 1465 e il 1467. La soluzione iconografica adottata sottolinea la figura della Madonna come mater amabilis, che si esprime nell’accentuata tenerezza del rapporto fra la Madonna e il Bambino. La presenza del san Giovannino è forse una velata allusione alla città di Firenze di cui è patrono, ma compaiono nell’opera altri elementi simbolici caratteristici dell’iconografia mariana, come le rose e il libro.
IconografiaMadonna col Bambino e santi
1470 circaRaffigura la Vergine in trono fra i santi Maria Maddalena, Giovanni Battista, Francesco e Caterina d’Alessandria e, inginocchiati ai piedi della Vergine, Cosma e Damiano. E’ molto probabile che i volti di questi ultimi due santi ci tramandino le fattezze di due personaggi della famiglia Medici: è stato infatti ipotizzato che si tratti di Giuliano e Lorenzo e il motivo di una tale ipotesi è il fatto che i due santi, in effetti, erano patroni della famiglia dei Medici.
Archivio Giunti
Madonna col Bambino e due angeli
1470 circa
tempera su tavola; 100 x 71
Napoli, gallerie nazionali di CapodimonteNei primi anni di attività Botticelli dedicò molti dipinti alla Madonna col Bambino; in questo quadro giovanile, Botticelli appare ancora legato ai modi e allo stile di Filippo Lippi. I protagonisti del dipinto sono collocati in un giardino circondato da un alto muro e, suggerisce la presenza dell’“hortus conclusus”, il luogo sacro alla Vergine.
IconografiaSan Sebastiano
1473 circaForse messo in opera nella Chiesa di Santa Maria Maggiore il dipinto rappresenta Sebastiano, che negli anni in cui Diocleziano imperava su Roma era un tribuno delle guardie pretoriane. Egli, appena convertito, si era dato a fare proseliti tra le truppe ma, scoperto, nel 304 fu condannato a essere trafitto da frecce, alle quali tuttavia Sebastiano riuscì a sopravvivere. L'episodio venne rappresentato spesso in epoca cristiana ma non solo per la suggestione della vicenda, bensì per il fatto che nel corso del Medioevo san Sebastiano si era trasformato in protettore contro la pestilenza di cui le frecce scagliate contro il santo erano rappresentazione simbolica. Anche a Firenze colpita spesso da questo flagello si diffuse la devozione del santo ed è assai probabile che l’opera botticelliana fosse proprio un ex voto di ringraziamento a Dio per una guarigione o con funzione protettiva dal terribile flagello.
IconografiaArchivio Giunti
Uomo con la medaglia di Cosimo il Vecchio
1474-1475
tempera su tavola; 57,5 x 44
Firenze, Galleria degli UffiziAndò a far parte del museo alla morte di Carlo de’Medici (1666) della cui collezione faceva parte. La presenza della medaglia di Cosimo il Vecchio “Pater patriae” ha fatto ipotizzare che l’uomo ritratto potesse essere un personaggio della casa Medici ma tra i vari nomi proposti l’ipotesi più suggestiva sembra quella che vede nella figura maschile il fratello di Sandro Botticelli, Antonio, orafo ed esecutore di medaglie. La medaglia che l’uomo tiene tra le mani è eseguita con la tecnica dello stucco dorato e applicato sul fondo della tavola, inconsueta nella pittura dell’epoca e di cui si conosce un altro esempio di analogo soggetto: l'Uomo con la medaglia di Nerone di Hans Memling.
Adorazione dei magi
1475In un passo del Vangelo di Matteo si narra che alcuni uomini saggi, per adorare il re dei Giudei appena nato, giunsero dall’Oriente a Betlemme seguendo il percorso indicato da una stella cometa. Sembra infatti che essi fossero sacerdoti persiani esperti nell’astrologia e capaci perciò di scrutare i fenomeni del cielo per prevedere i loro effetti terreni. L’iconografia dei magi, cara al Rinascimento fiorentino, è qui ripresa da Botticelli per la committenza di Gaspare di Zanobi del Lama, banchiere legato ai Medici. Il dipinto era destinato alla sua cappella, fatta costruire nel 1469 in Santa Maria Novella (oggi scomparsa). Alla scena assistono numerosi astanti in abiti contemporanei fra i quali sono stati riconosciuti i volti di alcuni membri della famiglia Medici, insieme al presunto autoritratto dello stesso pittore nella figura all’estrema destra avvolta in un mantello giallo.
IconografiaLa Primavera
1482 circaIl quadro si trovava appeso, insieme a Pallade che doma il centauro, nella stanza accanto alla camera da letto di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino di Lorenzo il Magnifico, nel suo palazzo cittadino di via Larga. Secondo l’interpretazione più diffusa, protagonista della scena è Venere. Perno dell’intera composizione la dea sta nel centro del suo giardino ricco di piante ed erbe di ogni specie, che la mitologia classica situava nell’isola di Cipro. Essa è attorniata dalle divinità del suo entourage: Cupido bendato, le tre Grazie che danzano in circolo tenendosi per mano e Mercurio. Nella parte opposta del grande pannello si svolge l'incontro tra Zefiro, il vento che spira in primavera, e la ninfa Clori che, terrorizzata, fugge. Accanto alla Primavera, ecco infine Flora, raffigurata qui nell’atto di spargere boccioli di rose. L’intera composizione, in ogni suo particolare, è dunque dedicata all’esaltazione della primavera, stagione in cui la Natura esprime al massimo i suoi poteri di fertilità celebrata da Ovidio, da Orazio e da Lucrezio. Trasferita sul piano della filosofia neoplatonica l’allegoria poteva ancora una volta essere letta in altra chiave al centro della quale la Venere-Humanitas, sintesi di spirito e materia, tramite fra l’uomo e Dio, spartisce il mondo della materia a destra da quello dello spirito sinistra.
Archivio Giunti
Pallade che doma il Centauro
1482-1483
tempera su tela; 207 x 148
Firenze, Galleria degli UffiziFatto per Lorenzo di Pierfrancesco de Medici, questo dipinto insieme alla Primavera ornava le pareti del palazzo cittadino dei cugini di Lorenzo il Magnifico. Si tratta di un’allegoria profana della quale sono state date le più diverse interpretazioni: da quelle politiche a quelle morali e filosofiche. Minerva, che tiene sulle spalle uno scudo, regge con la mano sinistra un’alabarda, mentre con l’altra afferra i capelli del centauro che la guarda con un’espressione triste e risentita. Si è ravvisato un elogio in termini allegorici dell’abilità diplomatica di Lorenzo de' Medici, che si era prodigato per la pace e aveva stipulato un’alleanza con il regno di Napoli inducendolo ad abbandonare la lega antifiorentina di Sisto IV (1480). Minerva, con l’alabarda cerimoniale, i rami d’olivo intrecciati sui capelli, e la veste ornata di emblemi medicei, personificherebbe dunque Firenze e la pace; al centauro spetterebbe invece il ruolo della Roma di Sisto IV mentre nel paesaggio dello sfondo si sarebbe individuata Napoli e il suo golfo. Altri studiosi interpretano la tela ponendola in relazione alla cultura umanistica del tempo influenzata dal predominante clima neoplatonico e dalle idee filosofiche di Marsilio Ficino. Per cui nella contrapposizione fra istinto e razionalità il centauro-istinto viene domato da Minerva-ragione. Un’altra ipotesi interpreta il dipinto come una variante del tema della Castità che trionfa sugli istinti brutali della Lussuria con riferimento alla vita coniugale di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici il quale avrebbe fatto omaggio alla sua sposa Semiramide di questa grande tela.
IconografiaVenere e Marte
1483 circaSi è pensato che Botticelli avesse eseguito il dipinto per i Vespucci al nome dei quali parrebbero alludere le vespe che provengono da un ceppo nell’angolo destro. Forse l’elaborazione botticelliana della mitologica love story era per una spalliera destinata a decorare la camera nuziale degli stessi Vespucci. L’amore fra il dio della guerra e la dea era un tema assai caro ai pittori dell’epoca. Marte addormentato e l'elegante Venere sono distesi su un prato con cespugli di mirto, pianta sacra a Venere. Intorno, dei satirelli giocano con le armi del dio dormiente. Secondo molti studiosi, Venere e Marte è più di un semplice omaggio alla mitologia e all’amore: la tavola risentirebbe del clima umanistico e delle teorie neoplatoniche che si erano sviluppate nella Firenze medicea di cui Botticelli faceva parte. Così l’immagine sarebbe una rappresentazione allegorica dell’“armonia degli opposti”, ovvero della vittoria di Venere (l’amore) su Marte (la guerra) o anche della Venere-Humanitas che ha il potere di sopire la guerra.
La nascita di Venere
1484-1490 circaFonti del soggetto iconografico del dipinto sono gli Inni omerici e le opere di Ovidio. Ma è stata rilevata una stretta corrispondenza fra la composizione dell’opera e un rilievo figurato posto sulla porta di un fantastico palazzo di Venere descritto da Poliziano in un passo delle Stanze. Diverse le interpretazioni del soggetto che sembrano andare oltre la celebrazione della dea, come mitica incarnazione della bellezza e dell’Amore, affondando le radici nell'ambito della cultura neoplatonica, sullo sfondo della quale operava Botticelli. Non si tratterebbe dunque semplicemente della rappresentazione della nascita della dea pagana dell'amore, ma del sorgere dell’ Humanitas, virtù generata dall’unione dello spirito con la materia che, per gli eruditi dell'epoca, si identificava con la purezza e la disadorna bellezza della nuda Venere. Sulla sinistra sono dipinti Aura, la dolce brezza, e Zefiro abbracciati, mentre a destra una delle Ore sta per gettare un mantello ornato di fiori sulle spalle di Venere.
Annunciazione
1489-1490Quest’opera fu ordinata nel 1489 da Benedetto di Ser Francesco Guardi per la sua cappella nella chiesa dei frati cistercensi del Cestello (oggi Santa Maria Maddalena dei Pazzi). La scena si svolge in un ambiente chiuso che presenta elementi architettonici caratteristici dell’epoca ed espedienti volti alla costruzione illusionistica dello spazio, guidando l’occhio verso il paesaggio inquadrato dalla finestra. Ma il realismo dello spazio non esclude la presenza nella scena di alcuni elementi simbolici caratteristici dell’iconografia dell’Annunciazione perché attributi di Maria stessa come il giglio sorretto dall’arcangelo Gabriele emblema della sua purezza e il leggio allusivo alla presenza di un libro, a ricordare la profezia di Isaia che, dalle pagine dell’Antico Testamento aveva preannunciato il concepimento e la nascita di Cristo da una vergine.
IconografiaCompianto su Cristo morto
1490-1492Intorno al corpo inerte di Cristo si stringono la Madonna, san Pietro e la Maddalena, le pie donne, san Giovanni Evangelista, san Gerolamo e san Paolo. La scena presenta un alto contenuto di patetismo nei gesti e negli sguardi addolorati degli astanti. Questa intensificata attenzione per l’espressione dei sentimenti rappresenta un cambiamento di registro delle opere a soggetto sacro della produzione botticelliana rispetto al tono erudito delle opere a soggetto mitologico. Si sente qui l’influsso spirituale di Gerolamo Savonarola, predicatore domenicano che esercitò un’ indiscutibile influenza su Botticelli il quale via via abbandonando i temi che lo avevano reso gradito alla cerchia intellettuale medicea, come sofisticato allegorista, negli ultimi anni della sua attività tradusse in pittura la sua intima e dolorosa riflessione religiosa.
Archivio Giunti
Sant'Agostino nello studio
1490-1494
tempera su tavola; 41 x 27
Firenze, Galleria degli UffiziQuesto sant'Agostino venne probabilmente eseguito per un eremita agostiniano di Santo Spirito, ipotesi che troverebbe conferma nella doppia veste indossata dal santo di vescovo e di eremita insieme. La figura è rappresentata al centro della tavola, seduta allo scrittoio. La tenda verde, spostata a sinistra, lascia intravedere una lunetta sopra la testa del santo raffigurante un bassorilievo della Madonna col Bambino che ricorda la scultura fiorentina dell’epoca. Si tratta di uno di quei dipinti della tarda produzione botticelliana che proponevano i temi della meditazione religiosa sviluppati sulla scia della predicazione savonaroliana.
Archivio Giunti
La Calunnia
1494-1495
tempera su tavola; 62 x 91
Firenze, Galleria degli UffiziAmbientata in un edificio antico, l’opera rispecchia con qualche libertà la traccia letteraria che lo ha ispirato: il quadro descritto nel De calumnia di Luciano. Il dipinto del pittore classico Apelle era stato eseguito dopo che Antifili, suo rivale, lo aveva ingiustamente accusato di tradimento presso il suo mecenate, il re d'Egitto Tolomeo IV Filopatore. A destra il re Mida è seduto sul trono mentre il Sospetto e l'Ignoranza gli sussurrano nelle orecchie (d'asino). Il re Mida tende il braccio al Livore, l'uomo con il cappuccio che stringe il polso della Calunnia, che a sua volta trascina per i capelli il povero calunniato mentre l'Invidia e la Frode le acconciano i capelli con fiori e nastri. Più in là, a sinistra, la Penitenza (la vecchia con la veste nera) osserva la Verità, che è nuda e guarda verso l'alto.
IconografiaArchivio Giunti
La comunione di san Gerolamo
1494-1495 circa
tempera su tavola; 34,3 x 25,5
New York, Metropolitan Museum of ArtLa fonte di questo dipinto è una delle tre lettere apocrife del beato Eusebio, in cui si narrano gli ultimi istanti della vita del santo che, nel suo convento, ricevette dalle mani di Eusebio stesso la Comunione per l’ultima volta. Gerolamo, traduttore della Bibbia in latino, era uno dei quattro padri della Chiesa occidentale e dopo aver dedicato la vita agli studi della filosofia e della teologia si recò nel deserto siriano dove studiò l’ebraico per poter leggere le sacre scritture in lingua originale. La scelta di questa iconografia, più rara rispetto a quella del santo ritratto nel suo studio intento alle letture, sembra connettere l’opera con la predicazione di Savonarola, di cui forse era seguace un possibile committente del dipinto. E’ infatti probabile che si tratti del quadro menzionato nel testamento del ricco mercante fiorentino Francesco del Pugliese, che voleva destinare l'opera alla cappella di Sant'Andrea, nel castello di Sommaia, a condizione che il castello fosse trasformato in convento domenicano.
IconografiaArchivio Giunti
Storie di Virginia
1496-1504
tempera su tavola; 86 x 165
Bergamo, Accademia CarraraLa tavola con le Storie di Virginia fa pendant con quella delle Storie di Lucrezia, in un ciclo di due dipinti sul tema delle donne illustri. Il tema proviene da Livio e da Valerio Massimo. La prima scena a sinistra rappresenta Marco Claudio che impone a Virginia, già promessa a un altro, di cedere ai desideri di Appio Claudio, uno dei decemviri, che desidera prenderla in moglie. Mentre il padre di lei chiede pietà al decemviro, la giovane viene condannata alla schiavitù (parte centrale in alto). Nella seconda scena, quella di destra, si svolge la tragica uccisione di Virginia da parte del padre che non sopporta l'oltraggio e riscatta così l'onore della figlia. L'ultimo evento, che costituisce la parte centrale, rappresenta il tumulto della nobiltà romana contro il tiranno che poi verrà ucciso. E’ stato ipotizzato che le due tavole fossero state eseguite da Botticelli per le nozze di Giovanni Vespucci con Namicina di Benedetto Nerli celebrate nel 1500. I soggetti consentivano l’elogio delle virtù femminili rispondendo a una consuetudine dell'epoca. E tuttavia è possibile usare per questi due dipinti una seconda chiave di lettura, quella politica. Nelle storie di Virginia e Lucrezia e nei soprusi vissuti da queste due eroine di epoca romana, si celebrerebbe simbolicamente una condanna della tirannia dei Medici e un’esaltazione delle idee di libertà repubblicane. Ma tale lettura allontanerebbe l’opera dalla famiglia Vespucci, assai vicina ai Medici.
Archivio Giunti
La vocazione di san Zanobi
1500-1505
tempera su tavola; 66,5 x 149,5
Londra, National GalleryE’ il primo episodio di quattro tavole che raccontano la vita di san Zanobi, il primo vescovo di Firenze intorno al 400 dopo Cristo. I pannelli rappresentano la Vocazione del santo, Tre miracoli di san Zanobi, Quattro miracoli di san Zanobi e gli Ultimi fatti di san Zanobi. Nella Vocazione di san Zanobi, il santo a sinistra, dopo aver rifiutato il matrimonio, viene battezzato dal vescovo Teodosio, e insieme a lui sua madre, che era stata pagana. Nell’ultima scena a destra, Zanobi viene consacrato vescovo di Firenze da papa Damaso. Per gli episodi narrati, Botticelli si appoggiò alla biografia del santo, scritta nel 1475 dal prete fiorentino Clemente Mazza.
IconografiaNatività mistica
1501Unica opera firmata e datata, la Natività pare carica delle inquietudini del momento storico in cui venne dipinta: i “torbidi d’Italia” come un’iscrizione nella stessa opera sembra denunciare. La morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492 aveva scatenato una dura lotta per il potere a Firenze, l’ascesa di Cesare Borgia autorizzava le peggiori preoccupazioni. Soprattutto, arrivavano voci di una nuova invasione dei francesi in Italia, dopo quella di Carlo VIII del 1494. La Sacra Famiglia è al centro mentre in primo piano tre angeli abbracciano tre uomini. A destra della capanna si vedono due pastori con la testa cinta di rami mentre a sinistra, in un altro gruppo di uomini e angeli, uno di questi tiene in mano un ramo di ulivo e indica Gesù. Sul tetto di paglia sono inginocchiati tre angeli che sorreggono un libro aperto. In alto, sotto una cupola d’oro, si vede un girotondo di angeli. In primo piano cinque piccoli diavoli sono sprofondati nei crepacci o vengono trafitti dai loro stessi forconi. L’ostentato arcaismo della scena e gli inconsueti motivi iconografici come l’abbraccio degli angeli con gli uomini sembra adombrare una sorta di visione profetica della liberazione dell’umanità.