Caravaggio: biografia
Michelangelo Merisi nasce il 29 settembre 1571 a Milano. Chiamato Caravaggio dal nome della cittadina in provincia di Bergamo dove trascorse l’infanzia, il suo apprendistato avviene a Milano (1584-1588) presso la bottega del pittore bergamasco Simone Peterzano. Dai pittori lombardi del Cinquecento ereditò il naturalismo e l’attenzione al dato reale. Spirito inquieto, già nel 1590 trascorre un anno in prigione per un crimine inconfessato. Nel 1592 si trasferisce a Roma e nel 1593 lavora per alcuni mesi presso la bottega del Cavalier d’Arpino dipingendo nature morte di fiori e frutta. Nel 1595 è accolto in casa del cardinale Francesco Maria Del Monte, suo primo importante mecenate. Di questi anni sono i Bari, Riposo durante la fuga in Egitto (Roma, Galleria Doria Pamphilj), Bacco e la Maddalena penitente. Grazie al suo protettore entra in contatto con le più importanti famiglie romane e il 23 luglio 1599 ottiene la sua prima commissione pubblica: la Vocazione e il Martirio di san Matteo per la cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi. L’anno successivo inizia la Conversione di san Paolo e la Crocifissione di san Pietro per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo e, nel 1602, completa il ciclo della cappella Contarelli con la seconda versione del San Matteo e l’angelo. Le sue opere si caratterizzano in maniera sempre più incisiva per i forti contrasti luministici e l’intensa tensione drammatica. Nei primi anni del Seicento dipinge, ancora a Roma, il Sacrificio di Isacco e la Madonna dei pellegrini. A Genova nel 1605, per sfuggire alla giustizia in seguito al ferimento del notaio Mariano Pasqualone, dipinge l’Ecce Homo. Il 26 maggio del 1606 uccide in una rissa Ranuccio Tomassoni da Terni; condannato a morte ripara prima presso i feudi dei suoi protettori e amici romani, ma poi si rassegna a rifugiarsi a Napoli dove lascia due capolavori, le Sette opere di Misericordia e la Madonna del rosario. L’anno successivo si trasferisce a Malta dove esegue l’enorme tela con la Decollazione del Battista, unica opera firmata. Scoperto, riprende la fuga passando per Messina, Palermo e Napoli. Un anno prima della tragica morte dipinge la Resurrezione di Lazzaro e l’Adorazione dei pastori. Nel 1610, ottenuta la grazia papale, decide di tornare a Roma via mare, ma, raggiunto Porto Ercole, muore di febbre sulla spiaggia.
Caravaggio: le opere
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Bacchino malato
1593-1594
olio su tela; 67 x 33
Roma, Galleria BorgheseIl giovanetto incoronato di edera, che, appoggiato a un parapetto in pietra, tiene in mano un grappolo d’uva, raffigura il dio del vino e dell’ebbrezza, Bacco. Il dipinto è noto con il titolo di Bacchino malato, proposto da Roberto Longhi per l’aspetto sofferente e per il colorito livido che caratterizza l’incarnato del giovane, da identificare secondo una descrizione fornita dal Bellori con un autoritratto dello stesso Caravaggio. Nell’apparente soggetto di genere si nasconde forse un significato allusivo al sacrificio di Cristo, del quale Bacco secondo la cultura neoplatonica era ritenuto prefigurazione. Realizzato nei primi anni del soggiorno romano, il dipinto, come il Ragazzo con canestro di frutta, faceva parte dei beni confiscati al Cavalier d’Arpino nel 1607 e donati da papa Paolo V al nipote cardinale Scipione Borghese.
IconografiaArchivio Giunti/Foto Nicola Grifoni, Firenze
Ragazzo con il canestro di frutta
1593-1594
olio su tela ; 70 x 67
Roma, Galleria BorgheseIl soggetto, un giovane che sorregge una canestra colma di frutta, riprende un tema già trattato dal naturalismo lombardo della seconda metà del Cinquecento, del quale un esempio è costituito dalla Fruttivendola di Vincenzo Campi. Nell’osservare il dipinto colpisce soprattutto l’impressionante realismo con il quale sono raffigurati i diversi tipi di frutta: come riferisce il Giustiniani, all’esecuzione della natura morta, considerata fino ad allora un genere secondario, il Merisi attribuiva la stessa importanza e “manifattura” che alla pittura di figura. Il dipinto fu realizzato nei primi anni del soggiorno romano, quando Caravaggio si trovava ancora alla bottega del Cavalier d’Arpino: a quest’ultimo appartenne fino al 1607, quando, a seguito di una confisca, entrò a far parte della splendida collezione del cardinale Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V.
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I bari
1594-1595
olio su tela; 94,15 x 131,25
Fort Worth (Texas), Kimbell Art MuseumIl dipinto è descritto dai biografi come facente parte della collezione del cardinale Del Monte, della quale reca ancora il timbro sulla tela, ed era considerato perduto fino al 1987, quando è ricomparso sul mercato antiquario ed è stato acquistato dal museo americano. La scena, nella quale il giovane ingenuo, vestito di scuro, è ingannato dalla subdola coppia di bari, divenne il prototipo di un soggetto tra i più imitati dai seguaci di Caravaggio, insieme all’altro famoso tema dell’inganno, La buona ventura. Il dipinto, affidato dal Caravaggio a un mercante romano, fu acquistato dal cardinale Francesco Maria Del Monte, poco prima che questi accogliesse il pittore lombardo tra i suoi stipendiati: per la vivacità cromatica e il gusto pittoresco che lo caratterizza appartiene ancora alla fase giovanile del Merisi.
Archivio Giunti/Foto Rabatti-Dominigie, Firenze
Bacco
1595-1596
olio su tela; 95 x 85
Firenze, Galleria degli UffiziL’elegante rappresentazione di questo Bacco disteso sul triclinio, incoronato di pampini d’uva e nell’atto di porgere una coppa di vino, davanti a una fruttiera colma di frutti, non costituisce un semplice soggetto di genere ma nasconde significati più profondi, ispirati dal raffinato clima culturale neoplatonico della cerchia del cardinale Del Monte: è stata variamente interpretata come una rappresentazione simbolica del sacrificio di Cristo, cui alluderebbero il Bacco stesso, prefigurazione del Salvatore, e il vino, simbolo eucaristico, e, in chiave profana, come rappresentazione della vita che volge al termine, per la presenza di frutti autunnali e anche un po’ guasti. Il dipinto fu realizzato per il cardinale Del Monte negli anni in cui il Merisi fu accolto tra gli stipendiati.
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Canestro di frutta
1596 circa
olio su tela; 31 x 47
Milano, Pinacoteca AmbrosianaIl dipinto, l’unico di Caravaggio ad avere per “protagonista” della composizione una natura morta senza figure, nel 1607 risulta nella collezione del cardinale Federico Borromeo, per il quale fu probabilmente realizzato. Il soggetto, apprezzato per la nitidezza naturalistica che lo contraddistingue, fu prototipo per la natura morta lombarda del Seicento. Una recente indagine radiografica ha mostrato che la composizione è dipinta su una tela di recupero, sulla quale erano in precedenza raffigurate grottesche, attribuibili a un amico di Caravaggio, Prospero Orsi.
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Giove, Nettuno e Plutone
Posteriore al 1597
olio su muro; 152 x 396
Roma, Casino di Villa Boncompagni LudovisiIl dipinto orna il soffitto di una stanza del Casino della villa già appartenuta al cardinale Del Monte e nel 1621 acquistata dalla famiglia Ludovisi: in origine la stanza era il “Camerino della distilleria” del cardinale, appassionato di alchimia, e Caravaggio vi raffigurò le divinità che presiedono alla terra (Plutone), all’acqua (Nettuno) e all’aria (Giove) sotto un globo madreperlaceo rappresentante l’universo, a simboleggiare il continuo processo di trasmutazione della materia così come veniva trattato nei testi di alchimia. In una specie di sfondato campeggiano le figure trattate con una virtuosistica veduta di scorcio, che riprende esempi lombardi, come gli affreschi di Correggio a Parma e di Giulio Romano a Mantova. Il Caravaggio che non amava l’affresco in quanto non consentiva pentimenti, realizzò questo dipinto a olio su muro.
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Giuditta che decapita Oloferne
1598-1599
olio su tela; 145 x 195
Roma, Galleria nazionale di arte antica, Palazzo BarberiniA differenza dei pittori che lo avevano preceduto Caravaggio sceglie di raffigurare la giovane ebrea Giuditta, assistita dalla fantesca, nell’atto cruciale di decapitare Oloferne, il generale assiro che aveva saccheggiato la sua città, Betulia, e si era invaghito della giovane. La scena, nella quale sono accentuati i particolari macabri e la violenza dei movimenti, costituirà un modello per i pittori caravaggeschi, e conoscerà una vasta fortuna. Il dipinto, che è stato attribuito a Caravaggio solo nel 1951, si identifica con quello citato dal biografo Baglione, come eseguito dal Merisi per il banchiere Ottavio Costa, collezionista e ammiratore del pittore. A posare per la Giuditta fu la cortigiana Fillide Melandroni, la stessa modella che ritroviamo in altri dipinti del Caravaggio, e della quale il pittore realizzò anche un ritratto oggi perduto.
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Conversione di san Paolo
1600-1601
olio su tela; 230 x 165
Roma, Santa Maria del Popolo, cappella CerasiSan Paolo caduto da cavallo alza le braccia verso la luce divina che lo investe con un’espressione serena e attenta, mentre il palafreniere osserva la scena bloccando il cavallo. Nell'autunno del 1600, monsignor Tiberio Cerasi, tesoriere generale di Clemente VIII, commissiona ai due pittori più famosi attivi a Roma la decorazione della cappella che ha acquistato nella chiesa di Santa Maria del Popolo. Caravaggio esegue la Conversione di san Paolo e la Crocifissione di san Pietro, Annibale Carracci dipinge l'Assunzione della Vergine. La prima versione dei due dipinti di Caravaggio, eseguiti su tavole di cipresso, viene rifiutata dai rettori dell'Ospedale della Consolazione, nominati eredi da Cerasi, il quale era nel frattempo morto, forse a causa dell’eccessiva violenza dei moti: il pittore eseguì una seconda versione su tela, caratterizzata da maggiore pacatezza, che fu molto apprezzata dai contemporanei. Delle prime versioni dei quadri è rimasta la Conversione di san Paolo ora nella collezione Odescalchi-Balbi.
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Crocifissione di san Pietro
1600-1601
olio su tela; 230 x 165
Roma, Santa Maria del Popolo, cappella CerasiIl dipinto raffigura il momento in cui la croce, sulla quale è inchiodato san Pietro a testa in giù, viene issata da tre manigoldi. Insieme alla Conversione di san Paolo, decora le pareti laterali della cappella di Santa Maria del Popolo, acquistata dal tesoriere del papa Tiberio Cerasi, e decorata tra il 1600 e il 1601 dai dipinti dei più importanti pittori attivi all’epoca a Roma, il Caravaggio e Annibale Carracci, che eseguì la pala d’altare con l’Assunzione della Vergine. La prima versione dei dipinti consegnati da Caravaggio nel 1601, dopo la morte del Cerasi non fu accettata dagli esecutori testamentari, e il pittore dovette fornire una seconda versione, che è appunto quella che ammiriamo attualmente nella cappella.
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Cena in Emmaus
1601 circa
olio su tela; 141 x 196,2
Londra, National GalleryCristo, con l’atto di benedire il pane, si rivela ai due discepoli che, ignari della sua resurrezione, avevano accompagnato lo sconosciuto viandante in una locanda per rifocillarsi. Il naturalismo caravaggesco trova qui uno dei suoi esempi più alti, nella raffigurazione degli oggetti e dei cibi disposti sul tavolo coperto da una candida tovaglia. Si nota in particolare una canestra di frutta assai simile a quella dipinta per il cardinale Federico Borromeo. Caravaggio mostra un particolare virtuosismo nella resa della profondità dello spazio, misurata dal gesto dell’apostolo che allarga le braccia, da quello dell’apostolo di spalle che si sporge verso Gesù e dalla mano benedicente di Cristo. La tela è stata con certezza identificata con il quadro dipinto da Caravaggio per Ciriaco Mattei, uno dei più affezionati committenti del pittore: presso di lui il Merisi risiedeva nel 1601, e nel suo palazzo stipulò il contratto per il dipinto raffigurante la Morte della Madonna.
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Incredulità di san Tommaso
1601-1602 circa
olio su tela; 107 x 146
Potsdam-Sanssoucis, BildergalerieCristo apparso dopo la resurrezione ai suoi discepoli, invita l’incredulo Tommaso a mettere la mano nella ferita del costato per verificare l'evento miracoloso. Nel dipinto Caravaggio mostra la mano di Tommaso che con impressionante realismo penetra nella ferita di Cristo, sollevando le carni ed evidenzia la smorfia di dolore che affiora sul volto del Gesù. Il pittore cala questo episodio nella verità della vita quotidiana, quasi si trattasse di una sorta di esame medico, sottolineando gli aspetti concreti e materiali dell’evento.
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Amor vittorioso
1602
olio su tela; 156 x 113
Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, GemäldegalerieIl dipinto è registrato nell’inventario dei beni del marchese Vincenzo Giustiniani, redatto dopo la sua morte, avvenuta nel 1638. Nella collezione il quadro era situato in una posizione di particolare importanza, coperto da un tendaggio verde scuro che veniva sollevato all’occasione per aumentare la meraviglia e la sorpresa. Fu realizzato nel 1602, in gara con Giovanni Baglione, pittore noto soprattutto per il celebre processo per diffamazione intentato a Caravaggio e per la biografia del nemico scritta più tardi. L’opera di Merisi svolge il tema moraleggiante dell’Amore divino, che irride alle vanità e alle ambizioni terrene, rappresentate dagli strumenti musicali, dai libri e dall’armatura, e riesce a fondere con estrema naturalezza citazioni letterarie, riferimenti biografici al committente e significati simbolici. L’attenzione è incentrata sullo spettacolare e irriverente nudo, ritratto al naturale, del Cupido adolescente e sulla straordinaria natura morta di strumenti musicali abbandonata per terra, che trova un precedente nella tavola raffigurante Santa Cecilia dipinta da Raffaello per Bologna, circa un secolo prima.
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Sepoltura di Cristo
1602-1604
olio su tela; 300 x 203
Città del Vaticano, Pinacoteca vaticanaLa deposizione di Cristo fu realizzata da Caravaggio per la cappella Vittrici in Santa Maria in Vallicella, la chiesa dei padri Filippini in Roma. Nella tela, che decorava l’altare della cappella dedicata alla morte di Cristo, Caravaggio raffigura il momento culminante del trasporto quando il corpo di Cristo sta per essere calato nel sepolcro. Nel costruire la composizione Caravaggio si discosta dalla tradizione classica trattando con realistica attenzione gli aspetti della morte e del dolore e adottando contrasti luministici di forte tensione drammatica. Fulcro della scena è la pietra tombale posta ad angolo, metafora di Cristo quale pietra angolare che tiene insieme l’edificio della chiesa. Il braccio di Gesù scende a toccare la lastra a sottolinearne il significato. Il dipinto, nel quale si avverte l’influenza del cromatismo e della drammaticità di Tiziano ma anche del naturalismo dei pittori lombardi del Cinquecento, fu molto apprezzato dalla pittura barocca e replicato anche da Rubens.
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San Matteo e l'angelo
1602
olio su tela; 295 x 195
Roma, San Luigi dei Francesi, cappella ContarelliNel settembre 1602 il dipinto raffigurante san Matteo ispirato dall’angelo venne collocato sull’altare della cappella di Matteo Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi, dove già si trovavano due tele raffiguranti la Vocazione e il Martirio di san Matteo, eseguite tra il 1599 e il 1600. È questa la seconda redazione del dipinto: una prima versione, andata distrutta durante i bombardamenti dell’ultima guerra, fu rifiutata perché considerata scandalosa e irriverente: un santo dall’aria ignorante e impacciata era infatti raffigurato seduto con il gran librone sulle ginocchia, mentre l’angelo gli prendeva la mano per guidarlo nella scrittura. La seconda versione è più in linea con i canoni classicisti e l’imponente santo assume l’aspetto di un dotto ispirato dall’angelo che volteggia in alto. Non mancano elementi naturalistici, come la luce che investe le due figure, il candore dei panni e l’effetto della mirabile veduta dal basso.
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Incoronazione di spine
1603 circa
olio su tela; 127 x 165,5
Vienna, Kunsthistorisches Museum, GemäldegalerieCristo è raffigurato al centro della composizione sopraffatto da due manigoldi che gli impongono la corona di spine. Gli esperti non sono concordi riguardo all’autografia di quest’opera, ma un recente restauro ha evidenziato particolarità tecniche che sciolgono ogni dubbio. Le foto a luce radente hanno rivelato la presenza di sottili incisioni, una caratteristica della tecnica pittorica di Caravaggio, riscontrabile in altre opere di attribuzione certa, che offre garanzia d’autenticità anche per questo dipinto. Il Merisi infatti, ispirato dall’esempio di Giorgione era solito non tracciare il disegno ma dipingere direttamente le figure col colore, segnalando delle indicazioni compositive di massima mediante graffiti fatti con la punta del pennello. Difficile stabilire quando questo dipinto sia stato eseguito: lo si ritiene prossimo ai quadri con figure “a tre quarti” che Caravaggio dipinge a Roma nei primi anni del Seicento per i suoi ricchi committenti, Vincenzo Giustiniani e Ciriaco Mattei.
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Ecce Homo
1605
olio su tela; 128 x 103
Genova, Galleria comunale di Palazzo RossoIl 25 giugno 1605 Caravaggio firmava un contratto, giunto fino a noi, nel quale s’impegnava a dipingere entro il primo agosto un Ecce Homo per monsignor Massimo Massimi, identificabile con questo dipinto. Pochi mesi dopo il Merisi, costretto a fuggire da Roma per aver aggredito il notaio Pasqualoni, riparò a Genova, dove forse fu ospitato dallo stesso Massimi, il quale intratteneva rapporti di amicizia con i mecenati romani di Caravaggio, i Mattei, Vincenzo Giustiniani e il Del Monte. Il quadro è testimonianza del naturalismo rigoroso del Merisi che niente concede al classicismo. Cristo sofferente e a occhi bassi è condotto da un manigoldo dalla grottesca fisionomia, e mostrato allo spettatore da Pilato, il personaggio raffigurato sulla destra in abiti contemporanei, nel quale per la forte caratterizzazione somatica si è voluto vedere un ritratto.
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Le sette opere di misericordia corporale
1606-1607
olio su tela; 320 x 260
Napoli, Pio Monte della MisericordiaDai feudi Colonna, alla fine del 1606, Caravaggio si rifugiò a Napoli. Qui ai primi di gennaio del 1607 risulta già pagata questa grande pala commissionatagli dal Pio Monte di Misericordia (dove tuttora si trova) raffigurante appunto le opere di misericordia corporale, quelle di cui Gesù parla a proposito del Giudizio finale, che dovevano ricordare le finalità del Pio Monte. Caravaggio rappresenta queste azioni con una straordinaria capacità scenica mentre accadono simultaneamente e quasi casualmente nel crocicchio di un vicolo (probabilmente il reale vicolo della Piazzetta, che i fedeli potevano riconoscere come luogo della loro quotidianità). Il gruppo di figure più importante, quello di Maria e Gesù, è al vertice della composizione e racchiuso nel volo di due angeli. Subito sotto, sulla sinistra, la scena veterotestamentaria di Sansone che si disseta dalla mascella d’asina, immagine del “dissetare gli assetati”, mentre più in basso, in una composizione concitata e complessa, sono descritte le altre “opere”: “visitare i carcerati e curare i malati”, “seppellire i morti”, “vestire gli ignudi”, “ospitare i pellegrini” e “sfamare gli affamati”, tutte scene di grande intelligenza sintetica in cui la quotidianità si mescola alla mitologia, al Vecchio Testamento, alla storia della Chiesa, in una profonda riflessione sul tempo storico e quotidiano della cristianità.
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San Giovanni Battista
1606
olio su tela; 99 x 134
Roma, Galleria nazionale d’arte antica di Palazzo CorsiniIl dipinto di formato orizzontale, attribuito al Caravaggio da Longhi nel 1927, rappresenta una sorta di esercitazione sul tema del corpo modellato dal rapporto luce-ombra. Il pretesto è la figura giovane e prestante di san Giovannino, seminudo, con lo sguardo in ombra nascosto dai capelli e una posa plastica e quasi scomposta. Molto simile è il San Giovanni Battista di Kansas City che, però, è di formato verticale e con un fittissmo sipario vegetale. L’esemplare romano, invece, mantiene una “scenografia” semplice ed essenziale con un tronco di cipresso, una ciotola e una croce come ambientazione di sfondo, sulla cui oscurità risalta il corpo luminoso di san Giovanni, avvolto parzialmente da un drappo rosso. Lo schema del santo seduto, chiuso in una solitudine meditativa e spirituale, seminudo con un drappo rosso, verrà utilizzato dal Merisi anche per il San Girolamo, con certe varianti relative all’età e al ruolo intellettuale di Girolamo.
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San Gerolamo scrivente
1606
olio su tela; 112 x 157
Roma, Galleria BorgheseCaravaggio dipinse il quadro per il cardinale Scipione Borghese, probabilmente per procurarsi la sua benevolenza nel giudizio riguardante l’aggressione del notaio Pasqualoni, e ottenere la grazia. Il vecchio san Gerolamo, raffigurato come un emaciato eremita, per il quale Caravaggio si servì di un modello reale, è seduto a un rozzo tavolo ingombro di libri, coperto di un semplice mantello rosso anziché delle vesti cardinalizie. Il magro braccio destro allungandosi sui libri porta lo sguardo a soffermarsi sul teschio, simbolo della vanità del mondo. Una luce molto forte invade la penombra illuminando da sinistra il santo ed evidenziando con grande realismo la consistenza materica dei libri, dei panni, del legno e dell’impressionante teschio.
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Madonna del rosario
1606-1607
olio su tela; 1606 x 1607
Vienna, Kunsthistorisches Museum, GemäldegalerieDipinta, probabilmente, per la cappella del Rosario in San Domenico Maggiore, è la più grande e importante tela eseguita a Napoli da Caravaggio. Pur nell’assenza di documentazioni, possiamo identificare il committente nella figura di Luigi Carafa Colonna, il cui nonno, Marcantonio Colonna, è rappresentato inginocchiato a sinistra, rivolto verso l’osservatore del quadro e vicino alla colonna, emblema della sua casata. Egli, inoltre, nel gesto di sorregere il mantello di san Domenico, rivela il forte (e documentato) legame della sua famiglia con l’ordine domenicano. A indicare il gruppo quasi statuario della Madonna col Bambino è un altro domenicano, san Pietro martire, che fa da interecessore con il popolo e con il pubblico osservatore. La complessa storia del rosario è intimamente legata all’ordine domenicano, che si pone, inoltre, come forte riferimento spirituale per la folla di fedeli inginocchiati (che sembrano proprio popolani napoletani) che si rivolge al fondatore san Domenico, invece che direttamente alla divinità. La tela fu commissionata al Merisi per celebrare, probabilmente, la festa della Madonna del rosario nel ricordo storico della vittoria di Lepanto, cui aveva partecipato anche Marcantonio Colonna, ma anche per esplicitare l’importante significato della devozione popolare della preghiera del rosario.
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Flagellazione di Cristo
1607
olio su tela; 286 x 213
Napoli, Pinacoteca di CapodimonteQuest’opera, commissionata a Caravaggio dal fratello di uno dei deputati del Pio Monte della Misericordia, Tommaso de’ Franchis, per l’altare della cappella di famiglia in San Domenico Maggiore a Napoli, dai documenti risulta pagata duecento ducati e consegnata nel maggio 1607. L’atmosfera drammatica del dipinto ci riporta a quel percorso dell’artista dedicato alla rappresentazione del dolore e del pathos. Gli aguzzini si accaniscono con violenza sul corpo candido e atletico del Cristo (che sembra rievocare un Ercole antico), il quale si sottomette umilmente e volontariamente alla Passione. L’efferato manigoldo di sinistra ricorda quello della Salomè del 1609 (Londra, National Gallery), mentre quello di destra, che lega Cristo alla colonna e gli sferra un calcio facendolo piegare sulle gambe, è stato inserito nella scena al posto della figura del committente (come risulta dalle radiografie), che era ritratto con gli occhi spalancati e in lacrime, mentre il manigoldo appare con le orbite in ombra, immerso in una cecità dell’anima. Il terzo aguzzino, inginocchiato sulla sinistra, sembra la rielaborazione di un modello statuario ellenistico chiamato L’arrotino (Firenze, Uffizi).
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Crocefissione di sant’Andrea
1607 circa
olio su tela; 202,5 x 152,7
Cleveland, Museum of ArtGià citata dal Bellori, secondo il quale fu portata in Spagna dal committente vicerè del Regno di Napoli Juan Alonso Pimentel y Herrera, l’opera rappresenta un raro episodio raccontato dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze. La composizione risulta serrata e basata sulla sintesi degli eventi: mentre sant’Andrea è già sulla croce, viene interrogato da Egeas, il console romano marito della neo convertita Massimilla. Questi, raffigurato con armatura da ufficiale, secondo la leggenda, aveva tentato, per reazione alla conversione della moglie, di costringere tutta la neonata comunità cristiana di Acaia a sacrificare agli dei. Un uomo, in cima a una scala, tenta di slegare il santo agonizzante e la leggenda dice che rimase paralizzato nell’atto. La vecchia astante in basso appartiene a una tipologia grottesca che verrà sviluppata ampiamente dai seguaci del pittore; essa sembra, inoltre, discendere dal modello antico della statua della Vecchia capitolina. La scena, per la vicinanza delle figure dipinte e per la luce intensa sul corpo del santo, risulta particolarmente drammatica e coinvolgente. La pittura è veloce e compendiaria, non priva di pentimenti, come del resto abituale in Caravaggio, soprattutto nell’ultima fase della sua attività.
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Flagellazione
1607 circa
olio su tela; 390 x 260
Napoli, Museo e gallerie nazionali di CapodimonteLa Flagellazione viene dipinta da Caravaggio nel 1607 a Napoli per la cappella di Tommaso de Franchis nella chiesa di San Domenico Maggiore. La luce fa emergere dalla penombra, in maniera fortemente drammatica, il corpo contorto del Cristo, i tratti grotteschi dei volti degli aguzzini e i loro gesti violenti. Pur interpretandolo con un fosco realismo, il Merisi si ispira a un precedente romano degli inizi del Cinquecento, la Flagellazione di Sebastiano del Piombo in San Pietro in Montorio. Le radiografie hanno rivelato una grande quantità di pentimenti da far ipotizzare che la tela sia stata realizzata in fasi diverse, e ha mostrato che in un primo tempo al posto dell’aguzzino di sinistra era previsto un personaggio in vesti moderne con cappello, barba e baffi, forse un autoritratto del pittore.
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Decollazione del Battista
1608
olio su tela; 361 x 520
La Valletta (Malta), Oratorio di San Giovanni Battista dei CavalieriAll’inizio del luglio del 1607 il Merisi lascerà Napoli per trascorrere un breve soggiorno a Malta, forse per stabilire un primo contatto diretto con il Gran Maestro dell’ordine dei Cavalieri di Malta, Alof de Wignacourt, che egli avrebbe, in seguito, anche ritratto. Questo, che è il più grande dipinto di Caravaggio, venne invece realizzato durante il suo secondo soggiorno nell’isola, nel luglio del 1608 (dopo un breve rientro a Napoli nel settembre del 1607), per l’oratorio della chiesa conventuale dei cavalieri alla Valletta, sicuramente su commissione dello stesso Wignacourt, come lo stemma sulla cornice originale conferma. In basso si ritrova anche la firma dell’artista tracciata con il sangue che esce dal collo mozzato di San Giovanni (f come fecit michela…), quasi in una identificazione personale con il martirio. Il suo drammatico stato d’animo di clandestino e di fuggiasco influenzerà, in questo periodo, tutta la pittura del Merisi, sia nei toni smorzati e scuri, sia nella nuova attenzione concentrata sullo spazio. Nella grande tela, infatti, i personaggi (il martire, il boia, la fantesca, il carceriere e Salomè con il piatto) sono raggruppati sulla parte sinistra, mentre l’intera metà di destra è occupata dal cinquecentesco muro della prigione, dove da una finestra due personaggi assistono tacitamente alla scena.
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Resurrezione di Lazzaro
1608-1609
olio su tela; 380 x 275
Messina, Museo RegioNel dicembre del 1608 Caravaggio già lavora a Messina per il ricco mercante genovese Giovan Battista Lazzari, per il quale esegue una pala destinata alla chiesa messinese dei Crociferi e dedicata al tema della Resurrezione di Lazzaro, in diretto riferimento al cognome del committente, consegnata prima del 10 giugno 1609 come testimoniano i documenti notarili. L’ambientazione della scena è ariosa, suggestiva e quasi teatrale, e rivela la struttura architettonica interna di una chiesa (fino all’Ottocento le chiese venivano usate come cimiteri). La luce proviene dall’alto e da sinistra e colpisce il livido corpo di Lazzaro circondato dalle due sorelle Marta e Maria e sorretto dal monatto con il quale forma un gruppo statuario, ispirato al famoso Menelao che sorregge il corpo di Patroclo, noto a Roma con il nome popolare di Pasquino. Lazzaro, tirato fuori dal sarcofago tra teschi e tibie, viene richiamato alla vita dal bellissimo gesto del polso e della mano del Cristo, la cui figura, laterale e in ombra, sembra rievocare quella presente nella Vocazione di san Matteo in San Luigi dei Francesi a Roma. Intorno al Cristo, tra le figure incuriosite degli astanti che osservano attenti ed espressivi l’evento miracoloso, è riconoscibile l’autoritratto di Caravaggio, il quale rivolge il proprio sguardo verso la luce con le mani giunte in segno di preghiera.
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Seppellimento di santa Lucia
1608-1609
olio su tela; 408 x 300
Siracusa, Chiesa di Santa Lucia al SepolcroTramite l’amico pittore siracusano, Mario Minniti, Caravaggio giunge in Sicilia, a Siracusa, nell’ottobre del 1608, dove riceve subito, da parte del senato della città, la commissione di una pala d’altare dedicata al Seppellimentodi santa Lucia per la chiesa omonima, luogo sacro particolarmente importante per i siracusani poiché eretta sopra le catacombe dove la santa siracusana aveva probabilmente subito il martirio. Il pittore, infatti, ambienta la scena nel luogo reale dell’ingresso delle catacombe, creando un ampio spazio architettonico che stabilisce uno straordinario equilibrio compositivo in relazione ai personaggi in primo piano, disposti, tipo sacra rappresentazione, intorno al corpo della santa. Il drammatico momento della sepoltura è rappresentato con estrema poesia e realismo, anche per la vicinanza dei personaggi all’osservatore, il quale viene totalmente coinvolto nella scena. La pittura, come anche negli altri quadri siciliani, risente di una certa fretta esecutiva e di uno stile compendiario ed essenziale dovuti, certamente, all’inquietudine e alla sofferenza dell’artista in questa fase così delicata e insicura della propria esistenza.
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Salomè con la testa del Battista
1609-1610
olio su tela; 116 x 140
Madrid, Palazzo realeIl Bellori racconta che Caravaggio, rientrando dalla Sicilia a Napoli, nel 1609, eseguì un dipinto raffigurante Salomè per inviarlo a Malta e “placare l’ira “ del Gran Maestro dei Cavalieri, Alof de Wignacourt, che lo aveva cacciato dall’ordine per infamia. Gli studiosi sono per la maggior parte concordi nell’identificare questo dipinto con quello citato dal Bellori, ma alcuni sono propensi a riconoscervi la versione conservata oggi a Londra. Nel dipinto Caravaggio raffigura i suoi personaggi, Salomè con il vassoio con la testa del Battista in primo piano, il carnefice di profilo e la vecchia sul fondo, abbandonando ogni esibizione violenta o macabra e concentrandosi sulla meditazione del dramma che si è consumato.
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Davide con la testa di Golia
1610
olio su tela; 125 x 100
Roma, Galleria BorgheseDopo essere tornato nel 1609 nuovamente a Napoli, Caravaggio eseguirà, tra il gennaio e il luglio del 1610, le sue ultime opere tra cui questa tela con Davide e Golia destinata all’ambiente pontificio e di fatto giunta nella collezione del cardinale Scipione Borghese. Quest’opera estrema racchiude, in realtà, una riflessione autobiografica, poiché Caravaggio si autoritrae nella testa di Golia decapitato, ricordando così che su di lui incombeva ancora il dramma della pena capitale. La scena poteva costituire per Caravaggio una sorta di supplica o di sollecito al fine di riuscire a tornare a Roma, cosa che non riuscì a compiere a causa dell’improvvisa morte sul litorale di Porto Ercole. L’identificazione dell’artista con la testa di Golia coinvolge anche un giudizio di autocritica. Sulla lama della spada tenuta in mano da un malinconico David, è incisa una sigla: "H-AS-OS", abbreviazione della frase Humilitas occidit superbiam, tratta da sant’Agostino e che, in questo caso, non può che alludere al tema morale della vittoria dell’umiltà (rappresentata dal giovane Davide) sull’arroganza del gigante filisteo Golia.
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Martirio di sant’Orsola
1610
olio su tela; 143 x 180
collezione Banca IntesaSant’Orsola, principessa cristiana martirizzata a Colonia durante il viaggio di ritorno da un pellegrinaggio a Roma, è raffigurata nel momento che precede immediatamente la morte, mentre, quasi sorpresa, volge lo sguardo al suo petto, trafitto dalla freccia scoccata dal re degli unni, raffigurato a sinistra ancora con l’arco in mano, indispettito del rifiuto della giovane di diventare sua sposa. La tela fu eseguita nel 1610 per il principe genovese Marcantonio Doria, come risulta da un documento che lo informa di un curioso incidente occorso al dipinto appena terminato. Il ritrovamento del documento ha consentito l’identificazione della tela, all’epoca conservata in collezione privata, e che fino al 1980 era ritenuta opera di Mattia Preti. Il Martirio di sant’Orsola, forse l’ultimo quadro dipinto da Caravaggio a Napoli prima di imbarcarsi per Porto Ercole, è caratterizzato da un luminismo baluginante e da una concentrata interiorizzazione drammatica.
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