Annibale Carracci: biografia
Nato nel 1560 a Bologna da una famiglia di origine lombarda, Annibale, fratello di Agostino e cugino di Ludovico, è la personalità più importante e innovativa del gruppo dei Carracci che, insieme, studiando il vero e la pittura dei grandi maestri del Cinquecento, fondano, nei primi anni Ottanta, un’Accademia detta “dei Desiderosi” e poi, dal 1590, “degli Incamminati”. La “riforma” dei Carracci consisteva in una reazione stilistica e ideologica all’arte tardo manierista, in nome di un ritorno alla natura e di un recupero della classicità delle forme. Ma, tra il devozionale Ludovico e il teorico Agostino, sarà soprattutto Annibale che dimostrerà una reale tendenza innovativa che influenzerà tutta la pittura del Seicento. Fin dalle prime opere bolognesi - come la Crocifissione del 1583 o le scene di genere del 1583-1585 come La bottega del macellaio o Il mangiafagioli - Annibale dimostra subito il suo talento di disegnatore e colorista e la sua curiosità sperimentale nei confronti dei diversi generi artistici che andavano sviluppandosi in quel periodo. Primo lavoro collettivo di ampio respiro dell’Accademia carraccesca sarà l’affrescatura (1584 circa) di alcune sale del palazzo bolognese del conte Filippo Fava con le Storie di Giasone e Medea. Annibale, dopo numerose commissioni di un certo prestigio come, per esempio, il Battesimo di Cristo (1585) per i frati della chiesa bolognese di San Gregorio, o la Pietà e santi (1585) per la chiesa dei cappuccini di Parma, che lo metteranno a confronto con il Correggio e la pittura emiliana del Cinquecento, compirà un viaggio a Venezia intorno al 1587, dove rimarrà colpito dalla pittura di Tiziano e di Veronese, e, risultato diretto di queste suggestioni, sarà la splendida Madonna di san Matteo (1588) per la chiesa di San Prospero a Reggio Emilia. Dello stesso periodo è la commissione, da parte della confraternita di San Rocco, sempre a Reggio Emilia, della pala con L’elemosina di san Rocco, ultimata nel 1595 e ora a Dresda. La più importante opera della scuola carraccesca, in questa prima fase, è la decorazione del salone d’onore di Palazzo Magnani a Bologna eseguita intorno al 1590 circa, dove per la prima volta, in questi affreschi che illustrano le Storie di Romolo e Remo, Annibale prende la supremazia del lavoro di gruppo che prima era stata del più anziano Ludovico. La completa maturità dei suoi mezzi espressivi, Annibale la raggiungerà però con il trasferimento a Roma, dove viene chiamato nel 1595, insieme ad Agostino e Ludovico, dal cardinale Odoardo Farnese, per il quale eseguirà la decorazione del Camerino (con affreschi dedicati alle Storie di Ercole). Sulla volta, verrà posta la tela con l’Ercole al bivio (oggi a Capodimonte) che risulta emblematica nel percorso individuale di Annibale, nel momento in cui comincia a sganciarsi dalla stretta tutela del fratello Agostino, con il quale le incomprensioni diverranno poi insanabili durante l’esecuzione della decorazione della Galleria del palazzo Farnese. In questi mirabili affreschi (1598-1601), dove spicca la scena della volta con il Trionfo di Bacco e Arianna, Annibale raggiunge il più alto livello della propria immaginazione creativa e, rifacendosi alla cultura classica e a quella del Rinascimento, riesce a oltrepassare i limiti del reale, della natura e della storia, fornendo il fondamentale presupposto per la grande decorazione barocca. Intanto, a Roma, Annibale riceve anche altre ambitissime commissioni, come la pala con l’Assunzione (1601) per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo (i cui laterali erano stati commessi a Caravaggio), gli affreschi della cappella Herrera (1602-1607) in San Giacomo degli Spagnoli e le lunette della cappella del palazzo Aldobrandini (eseguite in collaborazione con gli allievi nel 1603 circa). Nel 1605 Annibale, deluso per il trattamento ricevuto dal cardinale Farnese a saldo del lavoro della Galleria, avvertirà anche i primi sintomi dell’infermità mentale che in pochi anni lo ucciderà, al ritorno di un breve viaggio a Napoli, il 15 luglio del 1609 nella città eterna dove, più che altrove, aveva ricevuto gloria e onore.
Annibale Carracci: le opere
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Crocifissione e santi
1583
olio su tela; 305 x 210
Bologna, Santa Maria della CaritàL’attuale sede dell’opera, nella chiesa bolognese di Santa Maria della Carità, fu un ricovero successivo, avvenuto dopo il restauro del 1956, rispetto al luogo originale di provenienza che era la cappella Machiavelli in San Niccolò di San Felice. Le fonti riconoscono questa pala come la prima opera di Annibale datata 1583 ed eseguita, dunque, a ventitre anni. Alla struttura formale semplice e diretta, in contrasto con i complicati schemi manieristi ancora in voga all’epoca, Annibale unisce le proprie suggestioni formali e coloristiche di ispirazione veneto-lombarda. I santi ai piedi della croce, tra i quali spicca san Petronio in abiti vescovili, sono monumentali ma possiedono quella forza cromatica e quel senso infallibile di sintesi formale che diverranno, col tempo, sempre più prevalenti nell’arte di Annibale. La sua personale inventiva, già riconoscibile in questa prima prova, maturerà, in seguito, rapidamente attraverso la visione diretta del Correggio e della grande pittura veneta, conosciuta anche attraverso le incisioni del fratello Agostino. L’atmosfera della scena è, comunque, tipicamente ispirata e “controriformistica”, anche perché nel 1582 era stato pubblicato il celebre volume Discorso delle immagini sacre e profane del cardinale bolognese Gabriele Paleotti, che fu un testo fondamentale per il radicale rinnovamento religioso della pittura e tenuto in grande considerazione dall’Accademia dei Carracci, detta “degli Incamminati”, appena sorta.
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Il mangiafagioli
1583-1585
olio su tela; 57 x 68
Roma, Galleria ColonnaC’è chi ha voluto vedere in questo contadino che mangia i fagioli lo Zanni della Commedia dell’Arte, essendo i fagioli tradizionalmente intesi come il cibo degli sciocchi. Al di là di queste incerte supposizioni sul soggetto, il dipinto è senz’altro da mettere in relazione con la Macelleria di Oxford per stile, per genere e per il medesimo spirito popolaresco che muove entrambe le opere. I precedenti di questa invenzione così naturalistica, della figura sorpresa nell’atto del mangiare, sono senz’altro da rintracciare nei personaggi di Vincenzo Campi e di Bartolomeo Passarotti, spesso ritratti in “presa diretta”, come congelati nei loro gesti quotidiani. Nell’ambito dell’ormai certo eclettismo carraccesco, Annibale mostra qui la sua innegabile capacità di accordare lo stile al soggetto, realizzando un soggetto antiaccademico e “basso” con una pittura libera e vigorosa. E questa rimarrà sempre una caratteristica costante dell’Accademia dei Carracci, in sintonia con la cultura dell’epoca e con un’antica radice padana e bolognese: l’alternare la compostezza classicheggiante delle opere religiose con il gusto fresco - o addirittura caricaturale e grottesco - di altri esperimenti figurativi. Qui la pittura si fa morbida di effetti cromatici, come quello della luce grigio-azzurrina che viene filtrata dalla finestra e che trasforma e nobilita i cibi e i semplici oggetti in elementi eleganti e decorativi sul piano candido della tovaglia.
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La bottega del macellaio
1583-1585
olio su tela; 185 x 266
Oxford, Christ ChurchLa tela, che si trova oggi ad Oxford, è arrivata in Inghilterra attraverso il rilevamento della galleria Gonzaga da parte di Carlo I d’Inghilterra nel 1627-1628. La critica, dapprima, l’aveva assegnata al bolognese Bartolomeo Passarotti, autore anche di interessanti scene di genere. Il riferimento ad Annibale, riscontrato nell’Inventario Gonzaga del 1627, risale al 1956, anno della prima grande mostra sui Carracci organizzata a Bologna. Il momento stilistico è quello delle prime prove dell’artista, in realtà precocemente mature e innovative, come la Crocifissione di Santa Maria della Carità o il Battesimo di Cristo di San Gregorio. La composizione è solo in apparenza una scena di genere nello stile del cremonese Vincenzo Campi o del Passarotti; sembra piuttosto derivare dalla realtà quotidiana e concreta dell’artista, come fosse una scena da lui realmente vissuta. Particolarmente descrittivi e precisi risultano i dettagli della macelleria, con le carni appese ai ganci e lo spazio angusto dove si affollano uomini, arnesi e animali, come il cane sotto il banco o la pecora pronta per essere uccisa. È una scena popolare, umana e decisamente realistica dove le espressioni dei volti dei beccai, dei garzoni, della vecchia grifagna e dell’alabardiere sembrano quasi ritratti dal vero con estrema libertà. Il gusto scherzoso e ironico di quest’opera rientra perfettamente nello spirito, tipicamente seicentesco, di alternare al sentimento poetico, classico e moralistico, un motivo grottesco, sensuale e realistico. Questa alternanza di stili e di contenuti, che nell’Accademia dei Carracci veniva coltivata in maniera particolare, porterà sostanzialmente alla formulazione dei “generi” che si svilupperanno nell’arte del Seicento.
Madonna di san Matteo
1588L’opera sembra concludere, in un certo senso, ponendosi come punto più alto, la prima fase di attività del maestro Annibale, densa di commissioni ma soprattutto di esperienze formative e gravitanti per lo più tra Parma, Reggio Emilia e Venezia. In questa pala, eseguita per la cappella dei Mercanti nella chiesa di San Prospero a Reggio Emilia (firmata e datata 1588) sembra convergere tutta la cultura artistica acquisita in questi anni da Annibale, dal delicato tonalismo del Correggio, al respiro glorioso del Veronese e alla grandiosa struttura di Tiziano. L’intera composizione possiede, però, un respiro pieno e naturale, una solennità e un’armonia ritmica che la rendono un capolavoro assolutamente originale, che sembra già anticipare la sintesi barocca di sensualità e decoro. Il senso di compiutezza formale e luministica è dato dal paesaggio che si apre sulla destra con estrema naturalezza, creando uno sfondo prezioso dietro la vibrante figura di san Giovanni Battista, che ci invita ad osservare la scena. San Francesco e san Matteo sono, invece, rapiti dal sentimento religioso, smorzato, forse, dall’atteggiamento scanzonato dell’angelo dell’Evangelista ai piedi del trono, che sembra una sintesi tra i putti di Raffaello e gli angeli monelli di Parmigianino e che fa da base a tutta la composizione piramidale. La tela entrò a far parte della Galleria del duca di Modena, da dove passò a Dresda nel 1746 con la vendita di gran parte di quella famosa raccolta.
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Madonna di San Ludovico
1590 circa
olio su tela; 278 x 193
Bologna, Pinacoteca nazionaleLa tela fu eseguita per l’altare maggiore della chiesa francescana dei Santi Ludovico e Alessio a Bologna e la sua iconografia ortodossa riflette questa originale collocazione: sulla sinistra, in posizione avanzata rispetto a san Francesco e santa Chiara (protettori dell’ordine), vi è san Ludovico d’Angiò, vescovo di Tolosa, entrato nell’ordine francescano nel 1296. Sulla destra, santa Caterina d’Alessandria, san Giovanni Battista e sant’Alessio, il cui culto aveva conosciuto particolare successo in età di Controriforma, come modello di castità e povertà. I santi, inginocchiati su un gradino marmoreo, contemplano una Madonna neoraffaellesca, in un rapporto abbastanza ravvicinato tra cielo e terra. L’impianto è monumentale e simmetrico, alla fra’ Bartolomeo, e rivela una commistione di arcaismi e novità, di elementi rinascimentali (come la mitria in primo piano) e di altri di respiro già barocco (come l’apertura paesaggistica incuneata tra le vesti di san Francesco e Giovanni Battista). Particolarmente suggestivo è la stesura pittorica, luminosa e vibrante, di matrice veneziana, che farebbe propendere per una datazione appena successiva alla Madonna di san Matteo del 1588 dove già evidente era la componente cromatica veneta e correggesca. Di questa splendida pala, oggi alla Pinacoteca di Bologna, si conoscono quattro studi preparatori tra cui uno bellissimo per le mani di sant’Alessio.
Venere, satiro e due amorini
1590 circaIl dipinto, già in collezione medicea dal 1620, è celebre per l’aneddoto raccontato dal Malvasia relativo alla rappresentazione della schiena della Venere, per realizzare la quale Ludovico Carracci avrebbe posato per il cugino Annibale, essendo “cicciosetto e polputo”. Il tono del dipinto è, comunque, ludico ed esuberante, anticipatore di quella felice carnalità del tema mitologico che Annibale avrebbe poi celebrato negli affreschi di palazzo Farnese a Roma. Per la figura della Venere evidente risulta il modello tizianesco della ninfa seduta di schiena in Diana e Callisto di Edimburgo, una delle favole mitologiche che Tiziano aveva dedicato a Filippo II. L’interpretazione tizianesca della classicità sensuale e arcadica viene riletta da Annibale alla luce della deformazione manieristica ancora viva in questa scena, costruita per diagonali e contrasti chiaroscurali. La pelle chiara della Venere sdraiata, esaltata dal velo bianco che la ricopre parzialmente, si contrappone all’oscurità del satiro che viene fuori dall’ombra offrendole, morbosamente, una fruttiera ricolma d’uva. A causa dell’audace posa del corpo femminile, ritenuta scandalosa, e dell’allusione erotica chiaramente leggibile nel volto di uno dei due amorini, il quadro, durante il Settecento, fu ricoperto da una tela dipinta da C. Sacconi con soggetto allegorico mortuario (rimossa nel 1812).
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Madonna di san Luca
1592
olio su tela; 401 x 226
Parigi, LouvreQuesta grande pala, firmata sul piedistallo a destra, dove è appoggiata santa Caterina d’Alessandria, «Annibal Caractius F. MDXCII», fu commissionata per la cappella dei Notari del duomo di Reggio Emilia (oggi è al Louvre). Il documento di allogazione, del 1589, prevedeva che l’opera avrebbe dovuto essere eseguita completamente dalla mano del maestro e consegnata prontamente. Le condizioni del contratto, però, non vennero rispettate dal Carracci, come si evince dalla data apposta sulla tela (1592) e dalla mancanza di organicità dell’opera che rivela una collaborazione di altre mani. La parte superiore possiede una tessitura cromatica e una sicurezza compositiva e formale che manca nei due santi della parte inferiore, che risultano fuori proporzione e rigidi nei gesti retorici, come fossero stati realizzati più in fretta. Anche il paesaggio sembra semplificato in veloci pennellate e ridotto a puro sfondo cromatico dall’invadenza del gigantesco san Luca. La piramide di figure risulta statica e animata da pochi movimenti corporei: la torsione del corpo di santa Caterina e la gestualità devozionale di san Luca sembrano indicarci le direttive del nostro sguardo da rivolgere verso il gruppo celeste della Madonna col Bambino con i quattro Evangelisti tra le nuvole. L’impostazione generale della pala potrebbe ricordare la Madonna di Cento di Ludovico Carracci, del 1591, soprattutto nel gruppo della Madonna col Bambino.
Ercole al bivio
1596-1598Alla fine del 1595 (o già all’inizio del 1596) Annibale si trovava sicuramente a Roma, e il primo incarico che ebbe dal cardinale Odoardo Farnese fu quello di decorare il soffitto del piccolo Camerino del suo palazzo. Si trattò di una sorta di prova generale per la più grande impresa decorativa della Galleria, che sarebbe iniziata di lì a breve. La tela con l’Ercole al bivio era applicata al centro del soffitto, in mezzo agli affreschi della volta, eseguiti pure da Annibale, con le Storie di Ercole. Nel 1662 essa fu rimossa e inviata a Parma nella residenza ducale, mentre l’originale venne sostituito con una copia scadente tuttora in situ. L’opera è straordinaria per equilibrio e invenzione costruttiva, e rivela l’autentica personalità artistica di Annibale, sempre più consapevole e indipendente dalla tutela del fratello Agostino con il quale i rapporti si andranno sempre più a incrinare fino alla definitiva rottura che avverrà durante i lavori della Galleria. La figura vigorosa e plastica di Ercole è in rapporto diretto con la statuaria antica, con il Laocoonte per esempio, ma soprattutto con l’Ercole Farnese del quale sembra una riformulazione vivente, mentre le due figure della Virtù a sinistra, e del Vizio a destra si pongono come pause spaziali di un’armonia classica, come presenze neoraffaellesche di una compostezza statuaria. L’armonia di Annibale non è mai astratta, né intellettualistica, ma affonda profondamente le radici in una bellezza naturale. E questo ideale poetico, risolto finalmente nel contatto con la classicità romana e con gli affreschi vaticani, è già evidente in questa equilibrata e serena composizione pittorica.
Il trionfo di Bacco e Arianna
1598-1601Si tratta della parte centrale della volta della galleria di palazzo Farnese a Roma, l’opera più importante e di più ampio respiro di Annibale Carracci, il quale aveva appena terminato la decorazione del Camerino nello stesso palazzo. Gli affreschi furono commissionati dal cardinale Odoardo Farnese che dapprima voleva, con questa impresa, celebrare suo padre Alessandro, glorioso condottiero. Il progetto in seguito cambiò e il tema di fondo fu quello dell’Amore in tutte le sue forme e delle coppie celebri della mitologia. Quella di Bacco e Arianna è rappresentata in un corteo trionfale a cui partecipano sileni, satiri, ninfe e baccanti, insieme alle tigri, ammansite dal vino, e ai caproni destinati al sacrificio, che trainano i due carri. La scena si sviluppa in un movimento festoso che va da sinistra verso destra, in un tumultuoso intreccio di corpi e in una varietà di espressioni e pose che trasportano lo spettatore in una mitica età dell’oro dove trionfano bellezza e amore. Il tutto si svolge in un finto quadro riportato, entro lo spazio illusivo di una grandiosa cornice, all’interno di una finta struttura architettonica, in parte aperta sul cielo e in parte ricca di sculture, erme e medaglioni dipinti. I riferimenti culturali utilizzati da Annibale - che realizzò gli affreschi per lo più senza la collaborazione di Agostino - sono abbastanza evidenti: i rilievi dei sarcofagi antichi, gli affreschi di Raffaello alla Farnesina e la Volta sistina di Michelangelo. La carica emotiva e poetica rimangono, invece, elementi originali carracceschi, dove la pittura, assecondando il principio rinascimentale raffaellesco, diventa pura poesia e, con la sua fantasia, sensualità e libertà di espressione, sembra anticipare la grande decorazione barocca di Pietro da Cortona.
Santa Margherita
1599Il dipinto è una replica della figura di santa Caterina realizzata da Annibale nella pala della Madonna di san Luca del 1592, oggi al Louvre. Fu commissionata da Gabriele Bombasi, precettore di Odoardo Farnese che, divenuto cardinale, lo aveva fatto chiamare da Parma a Roma intorno al 1596. Le fonti seicentesche esprimono dubbi circa l’autografia carraccesca dell’opera, ritenendola eseguita dall’allievo Lucio Massari come copia della santa Caterina. Ritoccata, poi, dal maestro Annibale, la figura sarebbe stata adattata alle nuove esigenze iconografiche, con la sostituzione dell’attributo della ruota dentata con quello del drago. Recenti ipotesi confermano, invece, l’autografia del Carracci, il quale non avrebbe di certo affidato una commissione così prestigiosa alla mano di un allievo. L’alta qualità esecutiva dell’opera risulta tra l’altro evidente soprattutto rispetto alla cimasa con l’Incoronazione della Vergine, di livello inferiore e di impianto correggesco, forse di mano di Agostino. La figura della santa, che era stata persino ammirata dal Caravaggio (secondo una testimonianza dell’Albani) risulta, in effetti, bellissima per la ricchezza veronesiana delle vesti, del manto e della raffinata pettinatura, e in armonia con lo splendido paesaggio. Il gesto della mano verso il cielo, che viene esaltato dalla scritta «SURSUM CORDA» incisa sull’ara, rientra nella dinamica gestuale ed espressiva tipica di Annibale, così come indubbiamente carraccesco si rivela quel senso di sintesi universale che emana da tutta la composizione.
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Assunzione
1601
olio su tavola; 245 x 155
Roma, Santa Maria del PopoloLa storia di questa pala, eseguita per l’altare della cappella di Tiberio Cerasi, alto funzionario della curia pontificia, in Santa Maria del Popolo a Roma, è in qualche modo legata a quella dei due dipinti del Caravaggio commissionati per i laterali della stessa cappella: Il martirio di san Pietro e La conversione di san Paolo. Il termine ante quem per tutti e tre i dipinti è da ritenersi il 3 maggio 1601, data in cui moriva il committente che, dai documenti, risulta in vita durante tutta la decorazione della sua cappella privata. La data post quem è quella, invece, della concessione della cappella stessa al proprietario, avvenuta nel luglio del 1600. Non si conoscono i rapporti tra i due artisti, ma sappiamo con certezza che, durante il processo da lui subito nel 1603, Caravaggio fece il nome di Annibale Carracci tra quelli dei buoni pittori di Roma, accordandogli grande stima. Il naturalismo caravaggesco risulta, però, molto lontano da questa pala di Annibale, per il quale la pittura è mossa da una vita ideale, dove le passioni umane ricercano la misura o tendono all’eroico e al sublime. Qui la realtà è evocata nei rapporti tra i volumi delle figure che si muovono nello spazio attraverso i gesti. Gli apostoli, affollati nella parte terrena della scena, e la figura celeste della Vergine sembrano statue viventi bloccate in pose teatrali e un po’ retoriche. La materia pittorica e la conduzione stilistica riprendono, invece, la felicità visiva del Trionfo di Bacco e Arianna della Galleria Farnese.
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Fuga in Egitto
1603 circa
olio su tela; 122,5 x 230
Roma, Galleria Doria PamphiljL’opera, eccellente nel gusto e nell’esecuzione, fa parte delle sei lunette Aldobrandini, realizzate da Annibale e dai suoi discepoli (tra cui Albani, Lanfranco e Domenichino) per decorare la cappella del Palazzo Aldobrandini al Corso a Roma (ora Doria Pamphili). L’iconografia sacra della Fuga in Egitto risulta, come appare evidente, il pretesto per realizzare in realtà uno splendido paesaggio che, a dire di tutte le fonti, fu interamente eseguito dalla mano di Annibale, giunto ormai all’apice della gloria. Si tratta di un’opera importante e famosa, uno dei più alti contributi del Carracci allo sviluppo dello stile classico del paesaggio ideale, che raggiungerà la perfezione soprattutto con Domenichino e Poussin. La direzione compositiva della scena procede digradante da sinistra a destra, dal primo piano verso l’orizzonte. Dall’albero, che fa da quinta, attraverso il fiume, fino alla collina dove un altro albero chiude la scena lasciando intravedere i monti lontani. Le piccole figure della Sacra Famiglia con l’asino, in primo piano, si muovono in senso inverso e vengono messe in evidenza dalla fortezza che domina alle loro spalle. Altri elementi animano la scena, ma formano un tutt’uno con l’ambiente naturale che li circonda: il pastore, il barcaiolo, le pecore e gli uccelli che volano sull’acqua formando tracce luminose. Il paesaggio - arioso, luminoso e pastorale - diventa prevalente sulla scena sacra, in un incontro laico che rivela una straordinaria libertà inventiva volta a superare quella religiosità dottrinale che, dapprima, l’Accademia carraccesca perseguiva in sintonia con i dettami del cardinale Paleotti di Bologna.
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